“In Forza Italia mi odiano e sono contento”. Intervista a Stefano Parisi

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Stefano Parisi, ex candidato sindaco per il centrodestra alle ultime elezioni amministrative di Milano

Stefano Parisi, ex candidato sindaco per il centrodestra alle ultime elezioni amministrative di Milano

Arriva a braccetto di una signora elegante, capelli raccolti in uno chignon. Ce la presenta: «Mia mamma». Novantacinque anni, occhi intelligenti, modi cortesi. Del resto Parisi, come ricorda lui stesso, è di Roma. «La mia famiglia è ancora qui, anche se sono sempre in giro…». Il tour che sta facendo, Energie per l’ Italia, lo porta ogni giorno lontano. Per questo fermarsi un pomeriggio nella Capitale è un lusso. E lo è anche il contesto: il bellissimo Oratorio Baldini, tra piazza Venezia e Botteghe Oscure, ospite del Piccolo Festival dell’ Essenziale, organizzato dal Centro culturale di Roma, appuntamento di poeti, attori e danzatori. Lo hanno invitato a parlare di una parola: esilio.

Parisi, lei è un po’ in esilio per ricostruire il centrodestra, ma intanto Matteo Renzi ogni giorno vi scippa un’ idea. L’ ultima è l’ abolizione di Equitalia. Come si fa?
«Renzi è furbo, cinico e spregiudicato. Sta semplicemente cercando di prendersi gli elettori di Berlusconi.
Quando abolisce Equitalia, non lo fa perché sente che la società non ne ha bisogno, ma perché l’ ha detto Berlusconi. Stessa cosa con il Ponte sullo Stretto. Spera di prendere i voti di quegli elettori e vincere il referendum».

Intanto però quelle cose le fa.
«Non è vero. Le sue riforme non hanno nulla di liberale. È la solita sinistra. Addirittura sta abbassando l’ età pensionabile. Ma ci rendiamo conto?».

Si riferisce all’ anticipo pensionistico contenuto nella legge di stabilità?
«Sì. Oggi abbiamo un grande problema di sostenibilità del sistema e invecchiamento della popolazione. Dovremo aumentare l’ età pensionabile in futuro. L’ aspettativa di vita si allunga e le persone devono lavorare di più, se non vogliamo scaricare il debito sui giovani. E lui cosa fa?
Abbassa l’ età pensionabile.
Renzi non sta facendo cose di destra, sta solo sperando di prendere i voti di destra per il referendum. Basta vedere la riforma della scuola».

Cosa non le piace?
«La grande riforma si è limitata all’ assunzione di 100mila precari. Punto. Non ha cambiato una virgola del sistema scolastico. Non è riuscito nemmeno a migliorare l’ aspetto organizzativo. Con 100mila insegnanti in più, poteva far partire l’ anno scolastico con gli organici al completo. Nemmeno questo».

Lei cosa avrebbe fatto?
«Serve un sistema formativo di qualità. Questo occorre ai giovani per trovare lavoro.
Invece Renzi si è limitato a ritoccare modelli organizzativi e ad assumere precari».

Però ha fatto la riforma della Costituzione, su cui ora si voterà. Davvero pensa che sia da bocciare?
«Sì. Perché non cambia nulla. E dove cambia, cambia in peggio».

Corregge le distorsioni del Titolo V. E va detto che il federalismo, in questi anni, ha anche portato tanti sprechi. Non crede?
«In alcuni regioni, non in altre. Abbiamo vissuto distorsioni perché in Italia siamo abituati a fare le cose a metà. Mezzo federalismo, mezze riforme. E questo deresponsabilizza. La riforma costituzionale del 2001 nasce perché il Ds, provando a prendere i voti della Lega, decise di riformare il Titolo V. Il risultato fu una confusione tremenda. Occorre fare scelte chiare».

Cioè?
«Realizzare una vera sussidiarietà: lo Stato non deve fare tutto, deve lasciar fare alla società. Perché il servizio pubblico non è il servizio fatto dal pubblico, ma per il pubblico. E può essere fatto da chiunque. Il compito dello Stato è fissare standard di qualità. Per esempio mettere in mano alle famiglie un voucher da spendere negli asili nido. Comunali o privati. Oltretutto conviene. Oggi un asilo comunale costa a un Comune il doppio di quanto non gli costi a un asilo privato. E poi la famiglia».

Che cosa vorrebbe fare?
«La famiglia ci consente di assorbire disoccupati, disabili, anziani. Vogliamo riconoscerle questo ruolo facendole pagare meno tasse»

Renzi ha cancellato l’ Imu per la prima casa.
«Anche qui mancano scelte definitive. Noi dovremmo pagare una sola tassa locale che resta al Comune. In questo modo quel Comune non dipende dallo Stato. Se il sindaco è bravo, userà quei soldi per fare buoni servizi con tasse basse, se no, sarà mandato a casa. Si chiama accountability, responsabilità. Renzi per tre anni, invece, ha fatto manovre in cui ha scaricato i tagli alla spesa pubblica su regioni ed enti locali».

Però a proposito di riforme fatte a metà, anche il centrodestra ha delle colpe. O no?
«Il centrodestra ha provato a fare una riforma della Costituzione nel 2006. Ed era migliore di questa. Rafforzava i poteri del primo ministro, che è una scelta giusta perché serve un governo forte che non sia in balia del Parlamento».

Costituzione a parte, il centrodestra, quando ha governato, ha sprecato questa occasione. Non crede?
«Non c’ è dubbio che il centrodestra, negli ultimi anni, ha perso la spinta iniziale, liberale, che Silvio Berlusconi nel ’94 aveva dato. Anche perché gli alleati con cui ha governato provenivano da culture stataliste. Ma quei governi hanno fatto molto di più per il lavoro, per gli investimenti, per il Sud. Ma ora l’ Italia è in un’ altra epoca rispetto al ’94 per cui anche quelle ricette vanno ripensate».

Fino a un anno fa, lei era un manager di successo. Qual è la differenza più forte tra la vita di prima e di ora?
«È tutto diverso. La cosa più importante, quella che ti dà energia, sono le persone che incontri. La fiducia che mi ha dato Milano, dove ho preso 250mila voti. Il consenso che incontri, ma anche la preoccupazione, il dolore, i bisogni delle persone. Quando lavori in azienda, l’ energia te la dà la possibilità di raggiungere un risultato. Qui ti viene dal rapporto con la gente. Ed è importante, perché poi hai addosso una pressione infinitamente più grande».

Sente una pressione più forte di quando guidava, per esempio, Fastweb?
«Sì perché qui c’ è un’ aspettativa molto più elevata».

Prima guadagnava di più, aveva meno pressioni e le mani più libere. Chi glielo fa fare?
«In Italia c’ è bisogno di ritrovare la speranza nel futuro. E penso si costruisca non attraverso l’ individuazione di un leader o di un partito organizzato secondo i modelli esistenti. C’ è bisogno di una profonda innovazione. Occorre liberare le energie positive che ci sono tra le persone, nelle aziende. Questo è quello che voglio fare».

Però sta incontrando resistenze molto forti. Soprattutto tra i dirigenti di Forza Italia. Le dispiace?
«È normale. Sono preparato a questo. Se non ci fosse una resistenza, vorrebbe dire che non stiamo cambiando le cose. Le dico di più: il mal di pancia è molto meno diffuso di quanto emerga, trovo tanto entusiasmo e tanti amministratori e militanti che hanno voglia di tornare a vincere».

Be’ non è il contesto migliore per ricostruire un movimento politico.
«Non sono preoccupato. Forza Italia era un partito che aveva più del 30% dei voti, è arrivato ad avere a Roma il 4%. Quando perdi il contatto con l’ opinione pubblica, c’ è una responsabilità. Vuol dire che mancano le fondamenta ideali di una cultura liberale-popolare, mancano le persone in grado di rappresentarla.
Io sto provando a mettere insieme fondamenta ideali e persone».

Però la storia recente dice che è possibile cambiare pelle a un partito. Renzi lo ha fatto col Pd. Possiamo dire che lei è un po’ il rottamatore di Forza Italia?
«No, la mia non è una scalata a un partito per poi, una volta preso in mano, trasformarlo in un’ altra cosa».

Come ha fatto Renzi.
«Ma anche Salvini: ha preso la Lega al 3% e l’ ha portata al 10%. Nel nostro caso però è diverso. Bisogna ricostruire dalle fondamenta, ripartire in mezzo alla gente».

Cosa va cambiato rispetto alle idee del centrodestra che abbiamo conosciuto fin qui?
«Siamo entrati in una era segnata da fenomeni che ci condizioneranno a lungo: la globalizzazione dell’ economia, la pressione migratoria, l’ instabilità del mondo arabo che sta generando il fenomeno del terrorismo, il disimpegno degli Stati Uniti dagli scenari critici che necessita di un’ Europa che ora non c’ è, la trasformazione tecnologica, il calo demografico. Fenomeni che sono stati affrontati finora con le categorie del ‘900.
Servono logiche originali. Sull’ immigrazione, per esempio, la sinistra parla solo di accoglienza, mentre c’ è un problema di gestione. Dobbiamo riaffermare le fondamenta della nostra cultura giudaico-crisitana perché è l’ unica via per integrare popolazioni e culture diverse».

Lei parla di cultura liberale e popolare. Ma in Italia non è mai esistito un grande partito liberale.
«Perché il liberalismo che abbiamo conosciuto era elitario, non era percepito dalla gente. Sembrava avere come obiettivo solo la difesa degli interessi dei grandi gruppi economici e bancari. Come accade, ora, in Europa».

Bruxelles è governata da liberali?
«Il governo dell’ Europa è sostanzialmente liberale. Ma è fatto da professori che hanno studiato modelli di libero mercato e hanno provato a calarli dall’ alto. La direttiva Bolkenstein, apparentemente liberale, non ha generato ricchezza e benessere. Il liberalismo popolare che abbiamo in mente noi punta a liberare le persone, a diminuire il peso dello Stato per far spazio alla società. Siamo costretti a farlo perché abbiamo un debito del 130% del Pil».

Renzi sostiene di aver fatto molto per liberare la società, soprattutto in tema di diritti civili.
«La sinistra si è sempre concentrata sulle grandi battaglie per i diritti individuali, senza misurare quali sono le libertà effettivamente realizzate. Fare battaglie sui diritti e non occuparsi, per esempio, di quello che sta accadendo nelle carceri, ti fa capire lo strabismo della sinistra». Quotidiano Libero