Le risorse della natura diventano grande aspirazione per quel male, chiamato mafia, che non risparmia nemmeno ciò che di sano fornisce la Terra. L’agromafia, l’attività illecita della criminalità organizzata, è un fenomeno che non dà tregua, in netta espansione, che coinvolge tutto il comparto agricolo e la filiera alimentare, investendo denaro sporco per controllare settori ‘puliti’ quali la ristorazione, la grande distribuzione, il turismo agricolo e persino in settori già consolidati come il ciclo dei rifiuti, le coltivazioni e la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli. Le mafie poi non si accontentano più del controllo del territorio e dei business illegali tradizionali quali la droga, la prostituzione e le truffe, ma cercano di invadere anche il settore agricolo e alimentare con attività che compromettono la salute del consumatore e quella dell’ambiente.
Durante la kermesse letteraria, Taobuk, nei giorni scorsi è stato inaugurato il ciclo di incontri Food Factor, sezione dedicata alla cultura enogastronomica e curata dai critici Clara e Gigi Padovani, all’incontro “L’altro cibo: quello con la vitamina L come legalità” erano presenti Giancarlo Caselli, ex magistrato, presidente dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, il presidente di Coop Italia, Marco Pedroni. «Il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a 16 miliardi di euro, in controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese, perché la criminalità organizzata trova terreno fertile nel tessuto economico indebolito dalla crisi», dichiara Roberto Moncalvo. Giancarlo Caselli, ha sottolineato che la lotta al caporalato e alla criminalità che sfrutta la filiera del cibo non può essere considerato un problema emergenziale, ma strutturale, «Il cibo non deve essere soltanto buono, ma anche sano e giusto: questo perché gli alimenti devono essere considerati un bene comune e non una merce». Inoltre, Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, ha ricordato la campagna condotta con i prodotti a marchio Coop, che promuovono i frutti della legalità «Offrendo trasparenza e informazione si svolge un ruolo anche educativo verso i consumatori, consentendo loro di scegliere».
Dottore Caselli, che cosa dovrebbe fare la classe politica siciliana per combattere l’omertà legata alla corruzione e alle agromafie?
«Per combattere la corruzione e l’illegalità nel settore agroalimentare, la politica deve potenziare i controlli – e nel nostro Paese i controlli sono abbastanza presenti – e dotare il sistema di un apparato normativo legislativo adeguato ai tempi. E per quanto riguarda la materia agroalimentare la normativa penale è vecchia, superata, non funziona più, c’è bisogno di aggiornarla, di integrarla, di perferzionarla di adeguarla alle esigenze di oggi. Quello che dovrebbe avvenire con un progetto elaborato da una commissione di riforma di reati in materia agroalimentare, della quale sono presidente, la commissione ha presentato al ministro un pacchetto di 49 articoli prima o poi dovrà arrivare in Parlamento ed essere approvato, diventando così legge dello Stato. Un po’ in ritardo: il pacchetto è stato presentato al Ministro quasi un anno fa e da allora è rimasto chiuso in un cassetto nonostante lui abbia manifestato la sua approvazione».
La grande distribuzione genera paradossi: in Sicilia un chilo di limoni costa quattro euro, provenienti dall’Argentina, i nostri restano sugli alberi e i produttori vengono vessati dalla mafia. Quali sono gli interventi possibili?
«Una filiera corta che diminuisca i passaggi dal produttore al consumatore era una garanzia, una filiera lunga che prevede molte intermediazioni è una moltiplicazione dei prezzi quindi di aggravamento. Bisogna intervenire con una normativa che assicuri di più una filiera corta senza troppi spazi che possano fornire occasioni per l’illegalità».
Nei giorni scorsi abbiamo ricordato l’anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, cos’è cambiato in questi anni in cui la mafia non è più sanguinaria, ma dirige i suoi piani da nuove postazione, sicuramente più privilegiate?
«Ho lavorato con il generale dalla Chiesa a Torino sul versante dell’antiterrorismo con i suoi carabinieri e lì i risultati furono imponenti perché quel terrorismo lo abbiamo sconfitto, poi i suoi cento giorni a Palermo si sono conclusi con la strage di via Carini. A mia volta, dopo la stage di Capaci e di via D’Amelio sono stato trasferito a Palermo e le cose sono cambiate: la mafia c’è ancora, ed è pericolosa ma non è più inarrestabile, violenta, sanguinaria. Esiste una mafia economica, di affari che uccide quando è necessario ma non più con quella ostentazione di un tempo. Ma siamo riusciti a frenarla, a ridurne le dimensioni e la pericolosità però sul versante degli interessi la troviamo ancora e intensamente». In esclusiva per SiciliaJournal