di Ottavio Cappellani per La Sicilia
La festa nazionale dell’Unità, del Pd e del Sì al referendum, tenutasi a Catania, è stato un fallimento di pubblico. E’ inutile dire che per Matteo Renzi la gente c’era perché altrimenti sarebbe bastato montare, per un giorno, un balcone – stile piazza Venezia – in piazza Duomo e non due settimane di festicciuola semideserta alla villa Bellini. L’organizzazione era in mano al partito nazionale, quindi da un lato sarebbe scorretto dare la colpa a Enzo Bianco, dall’altro sarebbe stupido non chiedersi: ma il Pd, in Sicilia, quanta gente realmente “sposta” oggi? Anche in questo caso, però, sarebbe fazioso dire semplicemente che la gente, del Pd, non ne vuole sapere. Anche le forze anti Pd, anche le forze del “no”, si sono limitate a protagonismi dal sapore provinciale che spesso sono sfociati in atteggiamenti da “sbarco alle feste”.
Anche il corteo anti-Renzi è sembrato “ignorante” in quanto a “politica” (cari miei, la “piazza” era una metafora della possibilità di una rivoluzione, la “potenzialità” di una guerra civile, la Digos lo sa, conserva questo “sapere”, questa memoria, mentre il vostro corteuccio col megafono ha il sapore della contestazione cciofanile da arredamento di interni: un poster del Che, un tappetino etnico, sandali e collanine). Nessuno, delle forze politiche per il “No” ha saputo creare una “festa” parallela (come la “Versiliana”, ad esempio). Era più comodo dare addosso a chi qualcosa faceva; fallendo, bisogna dirlo.
C’è una sorta di disamore per il dibattito, per la cultura della parola che, almeno a Catania, è preoccupante, tanto quanto sono preoccupanti i proclami di rinascita culturale di questa città grazie alle aperture gratuite di musei o di mostre “popolari” che in nulla fanno evolvere in questa città da un lato assopita e dall’altro isterica. Nel frattempo la festa della birra, nel parcheggio di un centro commerciale, era strapiena di gente.
La colpa è di Renzi che ha fatto di questo referendum un plebiscito “o con me o contro di me”? Non lo so. So soltanto che la festa nazionale dell’Unità ci ha mostrato una città povera di parole, di partecipazione, di cultura. Riflettiamoci, anche se non è di moda.