Acese, ventiquattro anni, campione del mondo e vice campione europeo prima dell’oro nel fioretto a Rio 2016, Daniele Garozzo si racconta a Freedom24 tra sogni da realizzare – «Diventerò medico» – e quotidianità. Lo sport siciliano? «Un esempio». La ricetta del successo? «Lavorare a testa bassa e sbagliare». E su Roma 2024 dice: «Sarebbe una grande occasione avere i Giochi».
L’arbitro dà i comandi in francese, i due cavalieri senza volto sono fermi in pedana e lottano contro i secondi che li separano dall’inizio. «En garde!», stanno in guardia da sempre, perlomeno da quando sono atterrati in Brasile per partecipare ai Giochi della XXXI Olimpiade, il tempio dello sport per eccellenza, dov’è possibile diventare qualcuno o bruciare una carriera sul nascere sotto gli occhi di milioni di persone. «Etes-vous prets?», siete pronti?, ma non c’è bisogno di chiederlo e infatti non è prevista una risposta, non si aspetta altro che poter sbloccare i muscoli e lanciare i fioretti nel primo assalto all’avversario, poi schivare il suo e cercare di rispondere e portare a casa quella medaglia che si inizia a giocare quando l’arbitro, ecco, scandisce «Allez!». E via, stoccata su stoccata fino alla vittoria, lo statunitense Alexander Massialas si arrende ai colpi dell’avversario, sarà argento per lui: sul gradino più alto del podio, a guardare il tricolore e ascoltare l’inno interpretando i sentimenti di un’intera nazione c’è Daniele Garozzo, ventiquattrenne di Acireale che nella vita ha due sogni: uno lo ha appena realizzato, è la medaglia d’oro che gli brilla al collo. L’altro è diventare un medico, obbiettivo non meno facile, ma lui sa che ce la farà: «Studierò tantissimo in questo periodo – mi dice – ma in questo senso sono determinato e sicuro di me: diventerò medico».
Daniele non è l’unico Garozzo presente a Rio, suo fratello maggiore Enrico è un’altra bandiera italiana e ha portato a casa l’argento nella scherma a squadre. «La gara di Enrico l’ho seguita da casa. È stata la medaglia più bella che io abbia mai visto. Sono impazzito di gioia. Sono molto legato ad Enrico e felice di essere conosciuto come suo fratello». Adesso la fama dei due perlomeno si equivale, ma l’umiltà è una caratteristica di questo ragazzo che quando gli ho chiesto un’intervista ha subito accettato, niente impegni da vip, niente domande concordate, nessun tentativo di mettersi in mostra o di sottolineare quanto sia stato straordinario il successo olimpico. E’ credente, ma non sente la necessità di spiegare la propria fede in un mondo che forse, anche in questo, parla troppo. L’amore per il prossimo non si dice, si fa: e lui, vincendo il contest della Gazzetta dello Sport sulla medaglia che più avesse emozionato il pubblico italiano, ha deciso di destinare il premio (150.000 euro) a due opere di beneficenza. «Vuole essere un gesto di solidarietà per molte persone che sono in difficoltà. Io sono fortunato, economicamente sto bene. Non guadagno centinaia di migliaia di euro ma sto bene. Con la vittoria olimpica pagherò il mutuo della casa e sono già felice di questo. Credo che con questi soldi ho fatto qualcosa per due realtà che fanno molto del bene: La tenda di Cristo perché è di Acireale, quindi un aiuto radicato sul mio territorio. Medici senza frontiere perché voglio diventare uno di loro un giorno».
Che cosa si prova a rappresentare l’Italia ai massimi livelli mondiali? «È un orgoglio enorme poter rappresentare la propria nazione. Io ero particolarmente felice per il senso di appartenenza che mi lega alla Sicilia e ad Acireale in particolare. Le sensazioni che ho avuto prima della gara nel mio caso sono state uguali a quelle di ogni altra gara. Penso che questo sia stato uno dei motivi per cui quel giorno avevo una marcia in più. Ero abituato a quello stress lì». Già, perché a ventiquattro anni Daniele si è già messo al collo un oro mondiale e due argenti europei. Ma le Olimpiadi sono un’altra cosa, è il momento in cui agli appassionati di una disciplina si aggiungono decine di milioni di altre persone che pur nello spirito sportivo vogliono vederti vincere se sei del loro Paese e perdere se sei un avversario. Ecco perché i Giochi possono cambiare le cose, cambiare il futuro. Daniele non ne è convinto: «Non è cambiato molto dal punto di vista sportivo. Ho ancora molta fame e voglia di vincere. Io ho avuto “successo” perché mi sono sempre rimboccato le maniche. Ho sempre parlato poco e lavorato tanto a testa bassa. Ed ho fallito migliaia di volte ma non mi sono mai pianto addosso. La mia filosofia non so se mi ha portato successo, ma sicuramente mi ha reso felice».
Mi permetto una domanda di attualità: cosa pensa un campione olimpico dell’opportunità di ospitare i Giochi del 2024 a Roma? Non sfugge, nonostante a rispondere, in questi giorni, si rischi di essere visti come difensori di questa o quella parte politica: «Sarebbe una grande occasione ospitare i giochi a Roma, per tutta la città ma per l’intera nazione. Una sfida che andrebbe colta al balzo come molla per rilanciarsi». Per rilanciare lo sport e la sua bellezza, perché ce n’è grande bisogno in Italia come in Sicilia. Lui ne è convinto: «Il nostro esempio può servire a molti. In Sicilia si può vincere». Certo occorre lavorare sodo ma non c’è campione – campione vero, tra le molte meteore dello sport – che non faccia di questo la propria regola di vita. Allora sì che si entra nella Storia, come alcuni che a quest’Olimpiade hanno inciso il proprio nome nei secoli. Ad esempio Micheal Phelps: «L’ho ammirato molto, ha una personalità invidiabile», dice Daniele. A Rio “lo squalo” si è superato vincendo per l’ennesima volta tutto ciò che c’era da vincere, annunciando poi il ritiro definitivo. Uno sportivo che a fine carriera entra nella Storia diventando una leggenda, mentre altri vi stanno lavorando: e Garozzo – che discreto com’è non lo ammetterà mai – è decisamente tra costoro.