Esce in libreria “Ultime conversazioni”, libro intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald, nel quale il papa emerito racconta la sua vita e le dimissioni del 2013 che tanto scandalo hanno sollevato negli ambienti del cattolicesimo più radicale. Che Benedetto bastona da par suo, smentendo ogni falsa ricostruzione
Il revisionismo cattolico nella fattispecie espressa da quel gentiluomo di Antonio Socci – gentiluomo sul serio, nonostante la svolta degli ultimi anni lo abbia reso insultante e a tratti blasfemo – e degli illustri sconosciuti che gli vanno d’appresso per raccoglierne briciole di notorietà – langoni e mastini assortiti, dei quali non val nemmeno la pena scrivere – dovrebbe oggi guardarsi con franchezza allo specchio e decidere di posare la penna per non riprenderla in mano mai più. Da ormai quattro anni leggiamo da parte di costoro ogni genere di sciocchezza sull’illegittimità di papa Francesco e sul “mistero” delle dimissioni rassegnate da Benedetto XVI nel febbraio 2013: oggi, con la pubblicazione di “Ultime conversazioni”, il libro intervista a cura di Peter Seewald edito in Italia da Garzanti, è proprio il papa emerito a rispondere alle insinuazioni restituendo la verità di quando accaduto allora. Risponde, papa Benedetto, con la virtù cristiana che più di tutte gli appartiene: ossia con l’umiltà di ammettere i suoi limiti, che diventa poi necessità di guidare la Chiesa ad una fase riformatrice di cui papa Francesco è interprete coscienzioso. «Va apprezzata la risposta chiara e serena a tutte le elucubrazioni immotivate sulle ragioni della sua rinuncia al pontificato – scrive l’attentissimo padre Lombardi a proposito del libro, ultimo di una serie curata sempre da Seewald – come se fosse stata causata dalle difficoltà incontrate a seguito di scandali o complotti. Benedetto in prima persona fa piazza pulita con decisione, in modo ci auguriamo definitivo, parlando del cammino di discernimento con cui è giunto davanti a Dio alla decisione e della serenità con cui, una volta presa, l’ha comunicata e attuata senza alcuna incertezza e non se ne è mai pentito». Vediamo dunque di che cosa si tratta, nonostante non ci siano particolari novità per chi come noi ha rifiutato la vulgata del “colpo di stato” o chissà che altro si siano immaginati i mitomani di cui sopra.
Innanzitutto le dimissioni. Perché in latino?, si era detto, perché nasconderle alla comprensione immediata della gente, forse per lanciare un messaggio disperato e sottinteso, vogliono distruggere la Chiesa per come l’abbiamo conosciuta e amata e costringendomi alle dimissioni installeranno un pontefice posticcio che la distruggerà? Niente affatto: «Il testo della rinuncia l’ho scritto io – dice Benedetto XVI – Non posso dire con precisione quando, ma al massimo due settimane prima. L’ho scritto in latino perché una cosa così importante si fa in latino. Inoltre il latino è una lingua che conosco così bene da poter scrivere in modo decoroso. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche errore». Fare le cose per bene, ecco tutto: non sembrerà strano a chi conosca l’amore di Benedetto per la liturgia e la forma di tutto ciò che le graviti intorno, specialmente se di questa portata storica. Andiamo avanti: dopo le dimissioni arrivò il conclave e l’elezione di papa Francesco. Tutto fatto a tavolino, naturalmente, tutto stabilito prima in maniera da fregare il popolo dei fedeli e stabilire la dittatura del relativismo, cioè l’anticamera di ogni disgrazia, sul Trono di Pietro. Oltretutto – scandalo – il nuovo papa si presentò vestito di bianco, cose di pazzi, senza nemmeno la mozzetta tanto cara al predecessore. Che pure non si adonta: «Il mio successore non ha voluto la mozzetta rossa. La cosa non mi ha minimamente toccato. Quello che mi ha toccato, invece, è che già prima di uscire sulla loggia abbia voluto telefonarmi, ma non mi ha trovato perché eravamo appunto davanti al televisore. Il modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire, scoccata immediatamente. Nessuno si aspettava lui. Io lo conoscevo, naturalmente, ma non ho pensato a lui. In questo senso è stata una grossa sorpresa. Non ho pensato che fosse nel gruppo ristretto dei candidati. Quando ho sentito il nome, dapprima ero insicuro. Ma quando ho visto come parlava da una parte con Dio, dall’altra con gli uomini, sono stato davvero contento. E felice».
Incredibile, visto che il papa emerito sarebbe stato usurpato dal successore, il quale sarebbe di conseguenza un antipapa le cui azioni sarebbero illegittime. Lo dicono i figuri citati in apertura, ma guarda caso non la pensa così il più grande teologo vivente, che è sempre Benedetto: «Ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica. È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo. Io sapevo che questo non è il mio punto di forza». Ecco l’umiltà evangelica del papa emerito, quell’umiltà di cui tanto manchiamo noi scriventi: «Un mio punto debole è forse la poca risolutezza nel governare e prendere decisioni. Qui in realtà sono più professore, uno che riflette e medita sulle questioni spirituali. Il governo pratico non è il mio forte e questa è certo una debolezza. Ma non riesco a vedermi come un fallito. Per otto anni ho svolto il mio servizio. Ci sono stati momenti difficili, basti pensare, per esempio, allo scandalo della pedofilia e al caso Williamson o anche allo scandalo Vatileaks; ma in generale è stato anche un periodo in cui molte persone hanno trovato una nuova via alla fede e c’è stato anche un grande movimento positivo». Vero anche questo, nonostante la Storia debba andare ancora un po’ avanti prima che diventi comprensibile ai più: ai meno, anzi, che la gente per bene e semplice, beati gli umili!, tutte queste fantasie non se l’è fatte mica.
Il libro insiste anche, naturalmente, sulla vita di Benedetto XVI e le sue attuali condizioni di salute. Che sono ottime – eccellenti, se la diagnosi si sofferma sulla testa –, sebbene la stanchezza sia grande e il pontefice più longevo dell’ultimo secolo sia serenamente avviato verso la fine del suo cammino terreno: «Bisogna prepararsi alla morte. Non nel senso di compiere certi atti, ma di vivere preparandosi a superare l’ultimo esame di fronte a Dio. Ad abbandonare questo mondo e trovarsi davanti a Lui e ai santi, agli amici e ai nemici. A, diciamo, accettare la finitezza di questa vita e mettersi in cammino per giungere al cospetto di Dio. Cerco di farlo pensando sempre che la fine si avvicina. Cercando di prepararmi a quel momento e soprattutto tenendolo sempre presente. L’importante non è immaginarselo, ma vivere nella consapevolezza che tutta la vita tende a questo incontro». Grandi parole di un grande papa che la Storia rivaluterà: cento anni di salute, Santo Padre, e perdoni in cuor suo – come già ha perdonato – i disgraziati che l’hanno offesa immaginandola fantoccio di chicchessia. L’Intellettuale Dissidente