Il signore che sta a Palazzo Chigi – il cui nome è inutile ricordare perché ciascuno lo sa, e in ogni caso i media non mancano di ricordarlo – è obbiettivamente un fenomeno, e non ammetterlo significa partire svantaggiati, sopratutto per coloro che vogliano opporglisi. Il motivo per cui il Movimento Cinque Stelle – che si va configurando sempre più come un partito a robusta vocazione governativa, basta seguire i tour all’estero di Di Maio o le piazze riempite da Di Battista per saperlo – non è ancora riuscito a menare la botta giusta all’esecutivo e al suo capo sta tutto lì: nella contraddizione di considerare il premier un ebetino e al contempo il furbo artefice di una involuzione autoritaria della democrazia italiana. Certo, in quest’ultimo compito lo aiuterebbero Napolitano e il back-office del potere tecnocratico europeo e atlantico, ma non basterebbe per portare a compimento l’impresa: denunciando il suo piano, come stanno facendo, i Cinque Stelle contraddicono la definizione del loro fondatore sull’ebetismo del loro avversario. E questo non va bene, le contraddizioni diventano microfratture e poi crepe e poi faglie e infine fanno crollare qualsiasi struttura che non sia stata per tempo recuperata: in questo senso la politica non è diversa dalle vecchie case di Amatrice. Riconoscere la fenomenalità dell’avversario, evitare lo sfottò fine a se stesso, sanare le contraddizioni dialettiche in seno alla propria realtà è l’unico modo che le opposizioni hanno di detronizzare il signore di Chigi: il discorso vale anche per Forza Italia, che nell’errore cade specialmente per mano di Brunetta, ma anche la minoranza del Partito Democratico che a forza di sorrisetti e ciglia alzate – la vera sinistra sono loro, figuriamoci – non ha finora concluso un granché del dovere costituzionalmente previsto di fare opposizione. Quanto questo atteggiamento contraddittorio possa pagare lo si vedrà all’indomani del referendum: se il NO (stabilmente in testa nei sondaggi di parte) avrò davvero la meglio allora quanto sopra sarà smentito. Ma siamo almeno in due, io e un altro di nessun intuito di nome Giuliano Ferrara, a dire che non sarà così facile.
Ma si diceva della fenomenalità del signore di Chigi, della sua eccezionalità. Che possa risultare simpatico dipende dai punti di vista: a differenza del signore di Grazioli, che sul piano umano conquistava tutti trasversalmente, amici e nemici, il premier ha un atteggiamento sbruffone che lo rende antipatico a chi vorrebbe contestarlo nel merito ma non riesce, sbattendo sul muro di quella sfrontatezza – vedi Brunetta – e a chi essendo altrettanto sfrontato deve mettersi in competizione partendo da una posizione di minorità – vedi Di Battista. Con gli altri, invece, sopratutto con chi non abbia particolari problemi formali, il capo del governo dialoga benissimo, e riesce a far squadra meglio di quanto non abbia saputo fare la sinistra in tante esperienze di governo. Decide lui dove mettere la gente, e ne pretende poi fedeltà; se la fedeltà non c’è, anche soltanto a livello politico, non esita a far fuori l’indesiderato senza passare dal via. Al contempo non è fedele: l’enricostaisereno lo certificò a suo tempo, il partito e i suoi membri per lui non si equivalgono ed anzi si contrappongono, per cui il PD e i suoi esponenti sono cose diverse e per i secondi prova fastidio. Vorrebbe esserci soltanto lui, in quella casa, in tanti cloni teleguidati e programmati per eseguire i suoi compiti, e possibilmente disabilitandogli l’audio e il sonoro. E’ un uomo di intelligenza normale ma di grande scaltrezza, ha il fiuto per capire dove tira il vento e per capirlo in genere prima degli altri. Il vento, questo è forse l’errore, ritiene tuttavia di essere lui a produrlo. Ecco spiegato il perché della vicenda delle dimissioni post referendum, portata anche un po’ a brutta figura: non perché lui non si dimetterebbe nel caso – siamo almeno in due a pensarlo, io e un altro di nome Enrico Mentana – ma perché secondo lui gli italiani avrebbero dovuto leggere in quella dichiarazione una ragione in più per votare SI. Tanto è onesto che nel caso si dimette, avrebbero dovuto pensare: perché il signore di Chigi, in questo simile al signore di Grazioli, non accetta o comunque non si spiega come ci possano essere degli italiani che non capiscano la sua grandezza e il suo lavoro.
Che altro? E’ alto ma non snello come vorrebbe ed anzi piuttosto adiposo, è vanitoso ma ha l’intelligenza di non darlo a vedere. La verità è quella che stabilisce lui e perciò di un interlocutore può pensare tutto il bene o tutto il male possibili a seconda che concordi o meno con le sue posizioni. Non importa che quello sia un grande regista o un insigne accademico, un celebrato scrittore o un nobile filantropo: lo sarà soltanto se concorderà con lui. Nel caso contrario, egli si darà a distruggerlo a furia di commenti insinuanti e sfottenti, a forza di delegittimazione sul piano umano prima che politico. E’ abile a governare le polemiche e riesce in genere a cadere in piedi, salvo che su argomenti sensibili di cui non capisce le implicazioni o non gli importa nulla – vedi le Unioni Civili e la futuribile legalizzazione delle droghe leggere: in quel casi si allontana dal dibattito e se serve anche dall’Italia, per tornare ad acque chete e ricominciare a fare il mattatore. Ha il senso dell’umorismo ma ride poco, sorride molto e raramente in maniera sincera. E’ pronto a tutto pur di raggiungere i suoi obbiettivi, e si metterà sotto i piedi chiunque – fosse anche vicinissimo – mostrerà di volerlo ostacolare. Il ritrattino potrebbe finire qui, con le pennellate di una personalità egotica non così eccezionale, non così straordinaria guardando indietro a Berlusconi a Craxi e allo stesso Mussolini. E infatti non è lui di per sé ad essere straordinario, come nessuno lo è in relazione alle proprie passioni: nasciamo con certe corde nel cuore e non è merito nostro, ma saremo eccezionali se sapremo assecondarle per vivere nella loro luce, nel riverbero della loro preziosità di doni. Gli uomini sono corpi celesti posti ciascuno a una certa distanza dal loro Sole. Chi sa catturarne la luce orbitandovi intorno sarà visibile nel cielo stellato della Storia.
Così per il signore di Chigi: a differenza di molti che lo hanno preceduto, e più di quasi tutti, egli ama la politica. Ce l’ha nel sangue, ne è imbevuto sin dalla nascita, e dev’essere stato un gran cagacazzi sin dalla più tenera età, come sarebbe interessante chiedere alla madre e ai fratelli, non tanto al padre che dev’essere un tipo simile. Ama la politica e a lungo ha desiderato di farla, sin dai banchi di scuola e poi a quelli delle Feste dell’Unità, e sui treni dove inseguiva i big del partito e nelle piazze dove sgomitava per mettersi vicino al palco. Ama la politica e la vuole possedere, nel senso erotico e tecnico del termine, avendo compreso quanto insaziabile sia quell’amante ma certo di avere avuto tanta astinenza da riuscire a soddisfarla, e orgogliosissimo dunque di stare durando a lungo, e bramoso oltretutto di non andarsene prima di aver battuto il record del signore di Grazioli, un altro che la politica seppe domare senza tuttavia mai amarla, il cuore ce l’aveva in ufficio e allo stadio, non certo in Senato o alla Camera o alle riunioni coi capigruppo o alle conferenze stampa. Ama la politica, il signore di Chigi, più di quelli che ci arrivano per bisogno o per contingenze o anche per passione, che poi vuol dire passatempo se non c’è dentro quella scintilla di amore che tutto muove e e fa grandi le cose. Questo è, che lo rende eccezionale: e prima lo si capirà, prima questo capitolo di storia che stiamo vivendo, e che non finirà tanto presto, potrà essere scritto.