di Alessandro Sallusti
Zero, cito il vocabolario Treccani, significa «nulla», «insufficienza assoluta», in economia «perdere ogni bene, ridursi in miseria».
Nel linguaggio renzese, che è cosa diversa dalla lingua madre, non è così. Per il premier, zero significa «stiamo crescendo», «tutto va bene», «siamo davvero bravi».
Basta intendersi, il linguaggio in fondo è solo una convenzione. Perché c’è una contraddizione oggettiva tra il fatto che ieri l’Istat ha confermato «crescita zero» per l’Italia nell’ultimo trimestre e le parole di entusiasmo e ottimismo usate sempre ieri dal premier davanti alla platea amica e plaudente del forum Ambrosetti in corso a Cernobbio nei saloni di Villa d’Este. Cosa ci sarà da applaudire se siamo l’unico Paese d’Europa che non cresce, Dio solo lo sa. Ma in certi ambienti va così, soprattutto perché frequentati da signori che i fatturati li fanno all’estero, a differenza dei comuni mortali che i conti li devono fare ogni giorno con il mercato nazionale che, appunto, vale zero.
Più spudorato del premier, impresa non facile, è stato il ministro Padoan, che aveva promesso agli italiani tutt’altro film. «L’Istat sbaglia», ha tagliato corto il capo della nostra economia. Se così fosse, il governo dovrebbe licenziare in tronco tutto il vertice dell’Istat, colpevole di due reati gravi: procurato allarme e falso in atto pubblico. Non essendo accaduto nulla del genere, significa che l’Istat dice il vero e che Renzi e Padoan sono bugiardi patentati che si fanno gioco della nostra, seppur poca, intelligenza.
Credo che il motivo del calo di popolarità, gradimento e fiducia di questo governo sia proprio questo. Non tanto o non solo la «crescita zero», cioè il fallimento delle sue ricette, ma la costante, reiterata presa per i fondelli. Gli italiani sopportano tanto, quasi tutto: tasse pazzesche, servizi insufficienti, immigrati ovunque, ma non di essere trattati come cretini.
Zero, caro premier e caro ministro Padoan, significa zero. Ditelo, chiedete tempo e aiuto, trovereste tanta gente disposta a darveli perché siamo in tanti ad avere a cuore le sorti del Paese. Ma se oltre che incapaci volete essere anche arroganti e ridicoli, allora non ci siamo. Non perché gufi, ma perché uomini che, in quanto tali, pretendono rispetto. IlGiornale