Per esplorare quelle sconosciute, di solito, si ricorre a delle guide, mappe scritte da qualcuno e che – almeno in teoria – dovrebbero essere chiare a chiunque. Ma le strade più difficili non sono mai le nuove, bensì quelle stiamo percorrendo. E’ infatti nel riprendere ogni giorno la stessa strada che uno, prima o poi, si domanda: dove mi starà portando? E’ davvero la mia? Non mi converrà fermarmi e pensarci bene?
A causa di questi dubbi sulla propria strada, molti poi scelgono di rinunciare, di non percorrerla più. E’ un problema antico, che faceva dire a Flaubert che sì, «esistono cammini senza viaggiatori, ma vi sono ancor più viaggiatori che non hanno i loro sentieri». Il fatto è che tutti noi, in qualche fase della vita, ci ritroviamo così, «viaggiatori che non hanno i loro sentieri»: un ostacolo più impegnativo del previsto e stop, interrompiamo il cammino; ci lasciamo prendere dallo sconforto, diamo la colpa agli amici, gettiamo la spugna, cediamo.
Tutto quello a cui credevamo fino al giorno prima improvvisamente svanisce, oppure ci appare sbagliato. Ma la strada no, lei resta. Perché se quello per cui ci siamo spesi era qualcosa per cui valeva davvero la pena, se camminavamo per una ragione, se insomma la nostra strada era davvero una strada e non un sentiero come un altro, allora non potremo fare a meno di ripensarci; di chiederci se poi convenga sul serio mollare tutto; di gettare lo sguardo in là e scoprire come la strada, la nostra strada, abbia ancora molto da darci.
L’importante è capire che le gambe non si vedono dalla velocità o dalla resistenza, ma dall’orizzonte che scelgono di inseguire; che il vero traguardo non è arrivare da qualche parte o arrivarci per primi, ma farlo da uomini, liberamente, senza aver tradito lo spirito per cui, tanto tempo prima, ci siamo messi in cammino.