“Mio padre mi picchia”. La storia di una giovane marocchina

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Lei è una ragazza di 21 anni. S. N. è nata in Marocco e risiede a Bolzano dall’età di 4 anni, con i genitori e due fratellini. È giovane e bella, e quella sua bellezza ha deciso di non nasconderla, anzi, la mostra sui social network, ma senza esagerare, e lo fa assieme ad amici di ogni nazionalità e religione.

Sarebbe il perfetto esempio di integrazione culturale tanto declamata da molti, ma c’è un problema: il padre.

Un padre musulmano che lavora sovvenzionato nella ricchissima Bolzano, ma ha deciso di integrare la famiglia a modo suo, ovvero, a colpi di bastone. E gli effetti di quelle percosse sono tutte nelle vita un poco sbandata di quella ragazza. Bastonate alla moglie e alla figlia, dalla quale emerge una storia di maltrattamento domestico che non può essere liquidata solo con le solite frasi di circostanza.

Perché la storia si è complicata, e parecchio, da quando questa estate la famiglia si trova a Casablanca per le vacanze. Il padre ha deciso di sequestrare il passaporto alla figlia, impedendole così di tornare in Italia, dove S.N. ha sempre vissuto.

Perché, come detto, S.N. non è una musulmana modello, e questo al padre proprio non va giù. Un padre descritto come balordo da molti e con il quale per gli stessi membri della comunità marocchina bolzanina è difficile confrontarsi, ma che pretende di imporre alla figlia le usanze della sua religione. Perché a ferragosto è difficile trovare quelli che poi a maggio ti chiedono il voto sull’integrazione, sulla convivenza, sull’aiuto reciproco e via dicendo.

Perché alcuni esponenti della comunità musulmana di Bolzano, molto spesso provenienti dal Marocco, se ne sono lavati le mani con argomenti inespugnabili del tipo «non siamo una ambasciata» oppure «dal profilo Facebook non sembra stare male» ovvero «è una vergogna quella ragazza per noi musulmani».

La vergogna è lei, che mostra l’ombelico e non vuole sposare un uomo preconfezionato da Maometto, come ordina il padre.

Il racconto che in questi anni ha confidato a tanti amici, ma soprattutto allo staff della associazione Sicurezza e Legalità di Francesco Zorzi che sta seguendo il caso, è tanto dettagliato quanto agghiacciante: «Ho cresciuto i miei fratelli, studiavo di notte e se non sapevo le tabelline lui mi picchiava», spiega la ragazza che da Mohammedia riesce ormai sempre meno a comunicare con la associazione. Chiede disperatamente aiuto e che qualcuno si muova e faccia presto, perché, racconta via messaggi WhatsApp: «Mio padre ha detto che qui devo fare il test di verginità, ma se arriva il giorno che mi porta dal dottore, mi ammazza, sicuro, lo conosco, ci mette niente a farlo».

S.N. li fa venire a chi ascolta i brividi, quando motiva la sua paura, spiegando che è cresciuta a ceffoni, spesso legata mani e piedi al letto, costretta a provare terrore del padre che la privava del bere e mangiare o una volta: «Con un coltello riscaldato mi ha bruciato la pianta del piede», racconta singhiozzando. Il problema è sempre lo stesso: un mix tra la pazzia di un padre padrone e la insopportabile ribellione di una ragazza che ha deciso di non piegarsi al velo islamico.

In un altro messaggio racconta di quella volta che: «Tornavo a casa da scuola con un amico, mio papà mi è venuto a prendere e mi ha picchiato davanti a tutti, facendo scappare quel ragazzo». Tantissime le testimonianze: difficile credere che sia tutto inventato. In questi giorni, la ragazza bolzanina che rifiuta di sposare un uomo sconosciuto chiede aiuto dal Marocco, mentre migliaia di sue coetanee sono in spiaggia a prendere il sole.

Prima di scomparire, in uno dei suoi ultimi messaggi vocali, ha detto: «La situazione è gravissima, devo andarmene da qui, ma non so come fare, aiutatemi!», perché per la cultura marocchina è difficilmente accettabile che una ragazza di 21 anni decida di vivere da occidentale, contro il volere di suo padre, anche se è cresciuta e vive nella provincia più ricca d’Italia, dove molti della sua comunità etnica liquidano la vicenda con un «la religione in questo caso non c’entra nulla».

Appena torna, ha promesso a Francesco Zorzi, la prima cosa che S.N. farà sarà quella di andare alla polizia e denunciare quello che per troppi anni ha dovuto nascondere, perché c’erano mamma e fratellini, e allora si vedrà se veramente la religione non c’entra proprio nulla. IlGiornale