La società che rifiuta gli anziani non fa che rifiutare se stessa

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di Giuliano Guzzo

Un tempo non molto remoto ogni famiglia, al proprio interno, vedeva la presenza di almeno un anziano: spesso un nonno, altre volte uno zio; in ogni caso un riferimento per tutti gli altri componenti. Una sorta di paziente e saggio timoniere, un patriarca. Negli ultimi decenni, però, questi secolari equilibri sono venuti meno: la diffusione del lavoro femminile extradomestico, il ritardo col quale le coppie convolano a nozze, il calo del numero dei figli e la ricerca di stili di vita mondani e gratificanti hanno fatto sì che si sia imposto il nucleo unifamiliare con la progressiva marginalizzazione degli anziani, sempre più costretti a vedere il tramonto dell’esistenza dalle case di riposo. Il disorientamento delle famiglie, orfane del patriarca, e la solitudine dell’anziano: è questo il rovescio della medaglia famigliare contemporanea, a prima vista chic ed efficiente, e in realtà aggredita dalla paura.

Sì, perché lasciare un anziano alla casa di riposo ed evitare di andarlo a trovare troppo di frequente, nasconde paura prima di tutto. Paura di ricordare che saremo tutti inquilini del cimitero. Paura di vedere i progressi di quelle ragnatele del viso che chiamiamo rughe ed immaginarle, prima o poi, anche su di noi. Paura di ritrovarci a nostra volta circondati da operatrici in tutto e per tutto efficienti, ma per nulla simili ai volti amati per tutta una vita. L’anziano spaventa inoltre perché è l’esatto opposto del modello – trendy e vincente – che veneriamo: è sedentario, distratto, irrimediabilmente lento e impossibilitato a giocarsi le nostre possibilità motorie, intellettuali e finanziarie.

Eppure, non possiamo ignorarlo perché il suo volto è anche il nostro; è proiezione incarnata di quello che saremo, dei nostri decadimenti e dell’aspetto che – se ci sarà concesso di invecchiare – avremo al congedo da questo mondo. Da questo punto di vista, sport e medicina non sono che salutari passatempi: presto saremo anche noi colui che guardiamo di sfuggita, quasi che un solo sguardo potesse rammentarci che il tempo, lui, non fa sconti a nessuno. Originato dai molteplici fattori sopra ricordati, l’allontanamento degli anziani dalla nostra quotidianità presenta pericolosi effetti collaterali: ci toglie la possibilità di ricambiare fino in fondo l’amore di chi, precedendoci, ci ha cresciuti, e ci fa demonizzare la vecchiaia sottraendoci la consapevolezza che l’autunno non è il contrario della primavera, ma solo una sua evoluzione.

Il nascondimento sociale dell’anziano si può dunque considerare da un lato il frutto di un grande equivoco esistenziale, e, dall’altro, l’ennesima tappa di quella tabuizzazione della morte di una società intrappolata nel presente e incapace di immaginarsi futura, adulta e senile. Una società che s’illude di rimanere giovane prolungando pateticamente l’adolescenza e blindandosi in una planetaria beauty farm. Ma la vita è un’altra cosa; è alba e tramonto, alfa ed omega, partenza e destino. Ogni stagione ha i suoi colori e i suoi venti, ma un giorno le valigie non serviranno più. E quel giorno somiglieremo infinitamente all’anziano che oggi, per convenienza, fingiamo di non conoscere.