“Le montagne sono proibite”. La legge ingiusta in un racconto di Buzzati

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di Giuliano Guzzo

«Una legge proibisce formalmente di occuparci delle montagne: né salirci né parlarne e neppure guardarle, possibilmente. “Possibilmente”, così dice la parola del legislatore con una pretesa che egli stesso evidentemente giudicava eccessiva. Perché esse stanno sempre sopra la città, dalla parte del settentrione, giorno e notte, col loro splendore». Inizia così Le montagne sono proibite, un racconto dello scrittore Dino Buzzati (1906–1972) – racconto da tratto da la Paura alla Scala (Mondadori, 1949), che non conoscevo e segnalatomi da un lettore. Il racconto, nella sua semplicità, è sconvolgente non solo perché presenta una legge assurda – quella di non occuparsi delle montagne – ma perché descrive l’effetto che questa sortisce generando disinteresse per la verità: «Ogni tanto però involontariamente qualche occhiata le sfiora; ma si abbassano subito gli sguardi, per prudenza, cercando subito di dimenticare. Siano limpide o avvolte di nubi, cariche di neve o bruciate dal solleone, chi lo sa più? Non lo vogliamo neppure sapere, tanto grande è la riverenza per le leggi (che noi probabilmente non possiamo capire ma che di certo sono fatte per il bene nostro e dei nostri figli)».

Difficile, leggendo queste parole, non pensare alle leggi che, in Italia e non solo, hanno legalizzato pratiche gravemente ingiuste – dall’aborto procuato alla fecondazione extracorporea – finendo, oltre che per essere accettate nella mentalità comune, per allontanare l’attenzione delle persone dal fondamentale diritto al figlio concepito di nascere: «Non lo vogliamo neppure sapere, tanto grande è la riverenza per le leggi». Sembra quasi di sentire la comoda rassegnazione delle tante persone che, di certi argomenti, oggi non vogliono neppure sentir parlare. Il racconto di Buzzati – che invito tutti a procurarsi, perché davvero molto bello – si conclude con un dialogo di due persone, una delle quali, pur di non aprire le finestre – cosa che costringerebbe a vedere le montagne proibite – s’inventa prima la scusa del suo malfunzionamento e poi quella del possibile ingresso nella stanza di fumo e aria, ma anche questo «è stato un pretesto miserando. E menzogna pure è la finestra che non funziona. Dietro alla quale ci sono soltanto le montagne, cariche di notte, con le loro lunghe facce nere e potenti, cupamente sospese sulla città; e noi ne siamo indegni». E noi? Saremmo e siamo degni dei figli che le leggi che già ci proibiscono di difendere e che domani potrebbero togliere loro anche il diritto di avere un padre e una madre?