Tra dire e fare il passo è spesso molto lungo, specialmente se quel passo viene compiuto in Italia. Il 19 Luglio, a ben 15 anni dai tragici fatti del G8 di Genova e dal massacro alla scuola Diaz, il Senato ha sospeso ancora una volta la discussione sul disegno di legge che introduce il Reato di Tortura nell’ordinamento italiano. Un tema che era tornato a far discutere solo quando, nell’aprile del 2015, la Corte europea dei diritti umani aveva condannato l’Italia stabilendo che il blitz di polizia effettuato nel 2001 alla scuola Diaz, nell’ambito del G8 di Genova, doveva essere qualificato come una vera e propria “tortura”. Una sentenza che non si limitò a guardare e condannare quei fatti ma che intese altresì punire l’Italia per l’incapacità delle sue istituzioni di dotarsi di una legge per l’introduzione del reato di tortura, dopo ben trent’anni dalla sottoscrizione della “Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti” approvata dall’Onu il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore tre anni dopo (poi ratificata in Italia nel 1989).
Cosa prevede il reato di tortura?
La fattispecie di reato che il Senato avrebbe dovuto approvare sembra discostarsi parecchio dalla definizione data dalla Convenzione Onu del 1989 che appunto ritiene la tortura “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione”. Questo perché la Convenzione invitava i paesi aderenti ad introdurre una fattispecie di Reato Proprio e non comune, come invece è stato trasformato in Italia (dopo le modifiche e gli emendamenti successivi al testo proposto inizialmente dal senatore del Pd, Luigi Manconi). Reato proprio sta a significare che soggetto attivo del reato può essere solo colui che presenta una qualche legittimazione ad esercitare un determinato potere (e non chiunque, come nel caso della fattispecie di omicidio art.575 c.p.): secondo la Convenzione del 1989 il reato di tortura può essere compiuto da un pubblico ufficiale o da “qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito”.
Il testo discusso in Italia
Dopo la condanna da parte della Corte europea dei diritti umani, la Camera ha approvato il 9 Aprile 2015 il testo che avrebbe dovuto introdurre il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Si tratta di un Reato Comune (e non Proprio come previsto originariamente, ndr) che punisce con 4-10 anni di reclusione chiunque “con violenza o minaccia o violando gli obblighi di protezione, cura o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere dichiarazioni o informazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza o ancora in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”. Il ddl prevede poi un’aggravante (aumento di pena da 5 a 12 anni) se il reato è commesso da un “pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio con abuso dei suoi poteri o in violazione dei doveri che derivano dalla funzione o dal servizio”. L’aumento della pena previsto è di un terzo se dalla tortura derivano lesioni personali; se invece dovesse verificarsi la morte non voluta della vittima (al contrario si tratterebbe di omicidio doloso e non preterintenzionale) la pena è di 30 anni di reclusione. L’aggravante con possibilità di ergastolo è prevista se l’evento è dal soggetto voluto. Previsto anche il reato di istigazione a commettere una tortura da parte del pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio sempre nei confronti di altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, con la pena di reclusione dai sei mesi ai 3 anni. Il ddl raddoppia i termini di prescrizione per il delitto di tortura e stabilisce la non utilizzabilità nel processo penale delle dichiarazioni rese sotto violenza o minaccia. Per quanto riguarda invece il collegamento con il testo unico sull’immigrazione (art. 19), l’introduzione del reato di tortura è tesa altresì a vietare l’estradizione, l’espulsione e il respingimento del soggetto ogni qualvolta si ritenga ci siano motivazioni valide per pensare che questo possa essere sottoposto a tortura nel paese di provenienza.
Lo scontro politico e la sospensione del ddl tortura
Che Nuovo Centro Destra e Lega Nord fossero contrarie al ddl sull’introduzione del reato di tortura, questo si sapeva già. Eppure la scorsa settimana tutto – o quasi tutto – sembrava pronto per il raggiungimento di un accordo idoneo a velocizzare l’approvazione del disegno di legge. Il meccanismo si è però inceppato sulla parola “reiterate” riferita alla definizione di “violenze o minacce”, che Alfano avrebbe voluto reinserire nel testo dopo che l’emendamento del senatore grillino Enrico Cappelletti aveva riportato il disegno di legge nella formulazione originaria di quello approvato alla Camera. «Se ne nel sacrosanto disegno di legge contro la tortura in discussione al senato salta l’aggettivo “reiterate” riferito a violenze e rimane – scriveva su L’Huffington Post Fabrizio Cicchitto, parlamentare Ncd – “le minacce gravi” significa che mettiamo le forze dell’ordine alla mercé di delinquenti occasionali, di manifestanti violenti e – cosa disastrosa – della criminalità comune e organizzata, dei terroristi dissimulati». Teoricamente, si passerebbe da un reato di durata (per la cui realizzazione occorre la reiterazione di più atti, non necessariamente reati singolarmente) ad un reato istantaneo. Qui chiaramente si tratterebbe di bilanciare due contrapposti interessi: da un lato quello dello Stato all’efficacia dell’azione delle Forze dell’Ordine e dall’altro l’interesse del cittadino a non subire più di quanto “meritato” in relazione all’infrazione commessa.
Nonostante Alfano avesse comunque lasciato la possibilità di introdurre la parola “reiterate” subito dopo il passaggio del testo dal Senato alla Camera, il Partito Democratico – rendendosi contro della difficoltà di approvare il ddl per via dell’opposizione dei senatori centristi – dopo una riunione col ministro della giustizia Orlando, ha deciso di sospendere ancora una volta il dibattito sull’introduzione del reato di tortura sine die, dunque a data da destinarsi. Per l’Italia, già bacchettata dall’Europa, il reato di tortura può ancora aspettare. L’Intellettuale Dissidente