Il centrodestra unito riparte da Milano. La stessa Milano dove ha perso per un soffio la poltrona di sindaco e ha dimostato che solo insieme si può far bene. E a guidare questo rilancio c’è Stefano Parisi che si candida “a dare una mano”. “Voglio rigenerarlo con un programma liberale e popolare”, ha detto, lanciando l’idea di un’Assemblea costituente per le riforme “per non disperdere l’esperienza fatta a Milano”.
“È vero che non ho vinto”, ha spiegato Parisi in un’intervista a La Stampa, “Ma ho dimostrato che il nostro schieramento era portatore di una cultura di governo che merita di essere declinata a livello nazionale come linguaggio politico e piattaforma di contenuti. Voglio provare a rigenerare il centrodestra con un programma politico liberale e popolare, alternativo al centrosinistra e concorrente con i Cinquestelle“. Ecco perché a settembre ci sarà “una convention programmatica a Milano, in cui raccoglieremo idee e proposte”.
La questione non è però chi sarà il leader del centrodestra, in cui il ruolo di Berlusconi non è messo in discussione: “È stato a lungo motore della parte più moderata dello schieramento, deve continuare ad esserlo. Da fondatore”. E ancora: “Penso che Berlusconi guardi al mio progetto con interesse, ma io intendevo dire che coinvolgerò figure competenti. La politica ha vissuto una breve fase giovanilista, in cui sembrava un merito non aver fatto niente. Io dico invece che servono persone fresche, cioè di non lunga carriera politica, ma che abbiano dimostrato di avere capacità. Sono contro la rottamazione. A Milano penso di aver ottenuto un buon risultato perchè una parte consistente della città ha riconosciuto il valore dell’esperienza e dell’affidabilità“.
Il programma è chiaro: “Partiamo dall’immigrazione“, dice Parisi, “Basta con l’ipocrisia della sinistra che dice che l’unico tema è l’accoglienza. Io sono per guardare il problema in faccia e risolverlo. Quindi dico ok a riconoscere i diritti ai migranti, ma a patto che rispettino la legalità. Rigore e regole chiare”. E poi c’è l’Europa: “Non basta dire che serve più Europa e poi chiedere maggiore flessibilità sui conti. Il rigore di Bruxelles sulla finanza pubblica è giusto, a essere sbagliata è la burocrazia europea che pervade l’economia, soffocandola”. IlGiornale