Adesso che – pare – siamo pure a rischio attentati, abbiamo una ragione in più per guardare criticamente a quella che, non da oggi, è una tendenza contemporanea particolarmente diffusa, anzi troppo diffusa: quella del rinvio, del rimandare, del confidare così tanto in un’esistenza lunga fino a dimenticarci di doverla rendere anche vasta. Questo tipo di considerazione, di solito, accende in molti la nostalgia per il «carpe diem», l’attimo fuggente da godere appieno prima che sia troppo tardi: eppure non si tratta di un buon rimedio; l’incapacità di cogliere la pienezza della vita quotidiana non si può cioè sanare di colpo, tentando improvvisamente di viverne una straordinaria, ma solo evitando di sprecare quella che già abbiamo. E non c’è modo migliore, per farlo, che provare appunto a smetterla con la mania del rinvio, del procrastinare a domani quello che andrebbe fatto oggi, per non dire subito.
Smetterla con il rinvio significa quindi, anzitutto, aprirsi alla quotidianità: ma sul serio. Significa ascoltare le parole dell’amico come del parente, del vicino di casa come del collega, magari anticipando un sorriso. Significa interessarsi dell’altro davvero, non temere di prendersi a cuore le sue preoccupazioni né di condividere le nostre gioie. Significa osservare il cielo, quando la mattina usciamo di casa, e salutare il Sole comunque, anche quando preferisce starsene in disparte, quasi nascosto; e sapere cercare Dio, o almeno smettere di respingerLo. Soprattutto, piantarla con la tentazione del rimandare vuol dire non tenersi dentro nulla, trovare il coraggio di dire a nostra madre o nostro padre, così come all’amata o all’amato, o al nostro caro amico che gli vogliamo bene: troppe volte, per via di una sciocca timidezza o di un ingiustificato imbarazzo, priviamo le persone per noi importanti dell’affetto che spetta loro. E’ dunque ora di cambiare rotta, ma subito: non domani.