Non la lasciano governare in pace. Di più, non la lasciano nemmeno organizzarsi per governare: le prime giornate di Virginia Raggi sindaco di Roma – il primo sindaco grillino, il primo sindaco donna e contestualmente il primo sindaco donna con i capelli scuri: chissà che salto per la democrazia quando sarà eletta la prima bionda, contro il pregiudizio secolare che vuole le bionde citrulle e inadatte a governare – le prime giornate dunque si trascinano lente e noiose tra gli strali dei giornali e quelli del popolo a Cinque Stelle, ben conscio del fatto di essere anche stavolta nel giusto e pertanto vittima delle manovre d’ o’ Sistema, tese a delegittimare la storica vittoria eccetera eccetera. Che poi, chi l’avrebbe mai detto?: giusto noi, avendo scritto qualche settimana fa che “non vorremmo essere al posto della Raggi e della Appendino”, essendo le Valchirie di Grillo destinate ad un feroce esame di cinque anni nel quale nemmeno la più piccola défaillance sarà perdonata, nemmeno il più minuscolo sbaglio condonato – e chi è che non sbaglia mai?
Ora si parla con grande passione di capi e vicecapi di gabinetto, di telefonate misteriose con Grillo e forse dell’intenzione del sindaco di buttare tutte cose a mare e ribattezzare Roma Ostia Capitale. I fatti in brevissimo: il capo di gabinetto, Daniele Frongia, è “uno statistico prestato all’informatica” che annovera in curriculum una laura a La Sapienza con 110/110 (tesi: “Determinazione dei cammini di emergenza nell’area metropolitana di Roma”), un’esperienza alla scuola di formazione Telecom in ICT (Information and Communications Technology), un impiego all’ISTAT dal 2003, una consulenza alla Regione Lazio nel 2004 e da ultimo, nel 2009, l’ingresso nella Società Italiana di Statistica. In più, non si sa come facciano a dirlo i quotidiani italiani ma in ogni caso farebbe curriculum, sarebbe l’amante della Raggi e ciò – insieme alla sospetta incompatibilità della nomina a norma dell’articolo 7 comma 2 del decreto legislativo numero 39 del 2013, la famigerata Severino, per il quale chi abbia fatto parte di una giunta o di un consiglio comunale non potrebbe, nell’anno successivo, assumere incarichi dirigenziali all’interno della stessa amministrazione – renderebbe la nomina discutibile sia dal punto di vista morale che da quello amministrativo. Vedremo, ma si parla già di uno spostamento tattico del Frongia alla carica di “vicesindaco politico” della Capitale.
Il vicecapo di gabinetto, quello cioè che avrebbe dovuto affiancare e sostituire Frongia, si chiama Raffaele Marra e pare certa la sua destinazione ad altro incarico dopo l’accapigliamento su di lui e la famosa telefonata di Grillo che avrebbe cazziato la Raggi a proposito. Tutto ciò perché il Marra, a proposito di curriculum, sarebbe un ex Guardia di Finanza – e fin qui … – ma specialmente un ex collaboratore di Gianni Alemanno, e questo è francamente inaccettabile. Nonostante Alemanno abbia votato Raggi, anzi forse proprio per questo: il Movimento continua a rivendicare la propria distanza dalle logiche collaborazioniste per le quali Roma è affondata e soprattutto si rende conto che questa è la prima e l’ultima occasione di mostrare il proprio buongoverno per ambire al buon Governo, e sprecarla per un Marra qualsiasi non sembra neanche il caso. E così anche lui saltò: e mentre si avvicina il 7 luglio, indicato come redde rationem delle nomine romane, la Raggi inizia a vivere la tensione che la accompagnerà nei prossimi anni, se non deciderà, come pure si mormora in queste ore, di abbandonare il Campidoglio e rendere pan per focaccia agli ingrati che prima la votano e poi si mettono a fare la guerra su di lei. Grillo, Di Maio, direttorio, Casaleggio Associati: se era prevedibilissimo che i giornali avrebbero colpito duro, infatti, la guerra per bande che sembra scatenarsi in seno al M5S era pure prevedibile ma fa male. Perché non c’è tradizione più forte, nella politica degli “altri”, che mettersi a litigare dopo aver raggiunto l’obbiettivo. E se accade per la pur fondamentale Roma, figuriamoci per il Governo del paese.