La cosa veramente imperdonabile è il taglio di capelli. Altro che tubini e minigonne, eleganza e austerità: Daria Bignardi direttrice di Rai3 – direttrice a tempo, lo dice lei stessa – aveva il pregio di una bella capigliatura e di un visino che adeguatamente truccato restituiva l’immagine della sua intelligenza. Perché intelligente lo è, lungimirante pure: ci aveva visto lungo coltivandosi quel giovanotto che intervenendo alle sue trasmissioni, sbarbatello e col ciuffone, incominciò l’epopea politico-televisiva che lo avrebbe portato un giorno a Palazzo Chigi. Adesso i maligni ricominceranno a dire che la Bignardi abbia usufruito del credito del premier per accedere alla poltrona più alta di Rai3: le solite babbarie prive di fondamento messe in giro per raccontare un’Italia ferma, che non corre, che non riesce a prendere al volo il futuro e bla bla bla. Persino noi non troviamo di meglio da fare che stuzzicare questi sospetti e criticare le acconciature, nel momento in cui Mamma RAI lavora alacremente per compilare i nuovi palinsesti per il diletto degli abbonati paganti.
E qui casca l’asino. A parte la capigliatura bignardesca, una fusione di quelle di Vendola e Casini, la Bignardi ritorna di attualità per il vespaio sollevato dalla sua decisione di affidare il piatto forte della sua rete – il talk, pensate che abbuffata – ad un esterno all’organico RAI. E cioè a Gianluca Semprini, classe 1970, giornalista e conduttore Sky, autore di libri sulla Strage di Bologna e sul mondo della destra radicale in Italia. Sulla piattaforma italiana del gruppo di Rupert Murdoch ha lavorato a Sky TG 24 e ancora ultimamente ha moderato i dibattiti tra i candidati sindaco alle elezioni Amministrative. Un curriculum di tutto rispetto, insomma, quello del nuovo uomo di punta di Rai3. Non abbastanza, tuttavia, da sedare la rivolta di un migliaio e mezzo di dipendenti del servizio pubblico che si sono interrogati – anche incazzati, diciamo – sul ricorso ad un esterno piuttosto che ad un giornalista già in forza alla televisione di Stato.
La protesta si sarebbe svolta su Facebook, in un gruppo privato, aggirando così la regola del codice etico che vieta ai dipendenti RAI di fare esternazioni pubbliche sull’azienda. Il social network diventa quindi un luogo di virtuale libertà, dove la carboneria radiotelevisiva può cantarle liberamente alla direttrice con i capelli color topo (ah, quei capelli!): “Che motivo c’èra di andare a pescare un conduttore esterno quando la televisione pubblica offre già un nutrito numero di professionisti assolutamente capaci? E’necessario seguire meccanismi di marketing televisivo nella Rai3 che per Gaber era “argomento” per essere comunista? Il calciomercato dei conduttori deve per forza prevaricare le professionalità già in organico all’azienda?”. Ragionando in questo modo, proseguono gli irati dipendenti, non avremmo mai scoperto Giovanni Floris: che non sarà il massimo del carisma ma ha condotto per un decennio il talk di punta dell’emittente, quel Ballarò che traghettato nelle mani di Massimo Giannini sta per chiudere definitivamente i battenti.
Ma non per colpa di Massimo, eh: la direttrice a tempo tiene a sottolineare che «Giannini in questi due anni è stato eroico. Sfido io a trovare un altro giornalista senza esperienza in tv capace di tener botta con un format che era logoro da anni». Pizzicotto nell’interno coscia a Floris? No, ma c’è da dire che «quando Floris ha lasciato improvvisamente Rai 3 andandosene con tutti i suoi autori il mio predecessore Vianello ha avuto credo tre settimane, c’era pure agosto di mezzo, per mettere insieme una nuova squadra. Hanno fatto tutti i miracoli, ma non si ripensa un format in tre settimane». La sfida della Bignardi è quindi ripensarlo in tre mesi: questa la durata del suo incarico dirigenziale ad oggi. Ma stiano certi i succitati maligni: «Quando sarà il momento giusto parleremo di “Ballarò” e del suo brand, ci sto lavorando in queste settimane, ma la prima persona che saprà cosa diventerà “Ballarò” sarà Massimo Giannini e non un giornale». Non sia mai sembrare irrispettosi verso uno che viene dalla galassia Espresso.
E le maestranze RAI scontente? E i tubini neri che saranno proibiti e le cravattone – si apprende – anch’esse vietate dal nuovo dress code bignardesco? E la dittatura degli ascolti sulla quale le piacerebbe dire che non conterà più nulla ma evidentemente non può dirlo? Di questi e di altri problemi la direttrice del terzo canale non si occupa, come ancora nessuna dichiarazione importante è arrivata sulla decisione di spazzolarsi il cranio per un look che qualcuno ha definito lesbogiovanilista. La priorità è individuare il range del pubblico di Rai3 – «il pubblico medio è rappresentato da una professoressa di italiano, colta, curiosa, impegnata, di un’età vicina ai sessanta anni» – e possibilmente ampliarlo, da cui si presume la decisione di fare calciomercato nella televisione privata. Dalla quale lei proviene, avendo lavorato per anni in Mediaset e a La7, qui riuscendo ad affondare un programma che aveva all’inizio una qualche simpatia. Ora è chiaro che siamo gli ultimi da cui aspettarsi consigli non richiesti, ma alla Bignardi sarebbe bello ricordare la vecchia storia di Sansone e della forza che se ne andava insieme ai capelli. Spiace ma in tutto questo il pallino ci è rimasto lì. Non avrebbe potuto fare la direttrice e la fustigatrice di indecenze con i capelli lunghi? No, perché così parte ulteriormente svantaggiata. Tanti auguri per tutto. La Croce – Quotidiano