Lei vede oggi Paternò in condizioni peggiori rispetto al passato?
Secondo me sarebbe molto ottimistico delineare una percentuale di arretratezza della città rispetto al passato. Non c’è un minimo comune denominatore, oggi è tutta un’altra cosa. E al contempo non vi è dubbio che oggi è tutto peggiorato. Non riconosco più la città di un tempo, e se parla con i cittadini non la riconoscono nemmeno loro nonostante gli sforzi che gli amministratori hanno fatto fino ad ora. Io per esempio non nascondo una mia stima e simpatia verso il sindaco attuale. Il problema è che sono cambiate le condizioni storiche, non è un problema di incapacità di un gruppo dirigente.
Quindi pensa di potere mettere sullo stesso piano la classe dirigente politica della DC degli anni settanta e ottanta con quella attuale?
Ho molto rispetto di tutti e degli sforzi di tutti. Io penso che sia semplicemente cambiata la situazione storica su un piano generale, e a livello generale si subisce un drastico abbassamento dell’efficienza che parte da lontano.
Sia più chiaro.
Ancora oggi, nonostante lo Stato sia in difficoltà finanziarie ed ha quindi drenato in questi ultimi decenni risorse enormi ai Comuni mettendoli in condizioni di non provvedere ai bisogni più elementari, ancora oggi lo Stato intende sottrarre risorse dai bilanci. Ed anche la Regione non intende comportarsi diversamente. Come si fa a far fronte alle emergenze, alle contingenze del momento, se non hai i mezzi elementari per potere soddisfare i bisogni? E’ una crisi di carattere generale che non dipende dai singoli amministratori.
Cosa fece la classe dirigente politica che lei rappresenta, al tempo in cui lei ricoprì ruoli chiave in questa città e non solo?
Tra oggi e ieri, in riferimento al cinquantennio in cui io ho ricoperto incarichi che va dal 1943 al 1993, c’ero io ad incentrare il potere principale della città. Il mio potere, a differenza del potere dei sindaci e dei gruppi dirigenti che si sono succeduti dopo il 1993, non dipendeva solo da Paternò ma dal fatto che ero un deputato eletto con i voti di tutta la provincia di Catania quando fui deputato a Palermo, e con i voti di cinque provincie quando fui eletto a Roma. Per intenderci, facevo politica a Paternò utilizzando questo enorme potere che non era condizionato dagli elettori di Paternò.
Lei ritiene di essere stato un politico moderno?
Moderno e coraggioso, dico io. Quando mi prestavo alla soluzione di un problema, anche se l’ambiente locale non capiva la mia proposta, non la accettava e magari all’inizio non la approvava, io proseguivo ugualmente perché non ero condizionato dai consiglieri comunali di Paternò e dall’ambiente politico di Paternò. La platea elettorale era talmente vasta che l’opposizione dei singoli consiglieri all’interno della DC non mi preoccupava affatto. Mi ritenevo un uomo libero.
Lei quindi sente di potersi definire un politico persuasivo?
Sempre. A differenza di adesso, il gruppo dirigente di allora si riuniva ogni settimana. I consiglieri comunali, gli assessori, il sindaco e tutte le componenti della Democrazia Cristiana si riunivano ed esaminavano tutto, comprese le delibere di Giunta. C’era un controllo generale e tutti erano informati di cosa accadeva all’interno del Comune. Oggi molti consiglieri anche di questa legislatura, si lamentano perché si sentono esclusi dalla vita amministrativa.
Colpa loro o colpa degli amministratori?
Il sindaco non utilizza un criterio secondo cui tutti partecipano, mi pare chiaro. Questa è una differenza epocale.
Dal punto di vista urbanistico e la gestione dell’urbanistica? Come guarda da questo punto di vista la città?
Non potevamo fare con una sola delibera, impegnare 100 ettari di un’area per il futuro, senza avere concertato tutto insieme agli altri. Alla fine ottenevamo sempre un accordo, perché il bene della città veniva sempre prima dei punti di vista dei singoli. La città prima costruiva a sud e a nord. Noi ad un certo punto stabilimmo che le aree migliori erano quelle collocate verso la collina, e che a sud non ci sarebbero state più nuove costruzioni di abitazioni civili. Si rende conto di cosa significava attuare una decisione del genere e di come ha inciso nella storia di questa città? Lo abbiamo potuto fare in questa cornice di scelte storiche fatte di incisività amministrativa ed anche di concertazione.
Crede che con la sua esperienza, e quella della classe dirigente politica della DC che ha governato questa città, si sia guidato bene l’ingresso di Paternò nell’Unione Europea?
Non c’è un problema di ingresso nella UE, questo è un problema automatico della politica amministrativa. Allora avevamo un assessore che era Gioacchino Milazzo, che curava a Palermo questi collegamenti e la risoluzione dei nostri problemi sovrastrutturali e degli investimenti della città, finanziati dall’Unione Europea. Adesso non c’è nulla, siamo a zero. Ho sollecitato molte volte ma non mi occupo più di politica attiva. Noi perdiamo finanziamenti continuamente, nessuno segue queste questioni e nessun tecnico è sollecitato o coinvolto nel farlo. Tutto questo ha prodotto dei danni enormi, non sappiamo nulla di ciò che succede fuori dai nostri confini comunali.
La questione più importante degli ultimi dieci o quindici anni di amministrazione della città?
Lo sviluppo economico. Lei deve pensare che noi avevamo posto le basi per un’inversione di tendenza sul piano economico e produttivo, e strappandola al Comune di Belpasso costruimmo nel comune di Paternò un’Area di Sviluppo Industriale. Dico senza forma di essere smentito che dal 1993 ad oggi non si è fatto nulla per il nucleo di sviluppo industriale, hanno fatto come se non esistesse. Hanno detto che Tre Fontane è di competenza del consorzio provinciale dell’Area di Sviluppo Industriale di Catania. E’ vero, però questo non significa che Paternò non poteva sollecitare il Consorzio o la Regione per completare il terzo nucleo di sviluppo industriale Se lei fa un’analisi su quello che è stato fatto in quell’area, scoprirà che furono fatti dei lavori con risorse ottenute solo da noi. Da quel momento in poi il nulla. Immagini che ho risvegliato il problema qualche anno fa con l’allora assessore allo sviluppo economico. Incoraggiai un incontro con l’allora commissario a Catania, e quando ci sedemmo fu il commissario stesso a meravigliarsi di come finalmente Paternò si fosse presentata dopo molti anni. Questo è uno dei gravi motivi a cui è legata la crisi economica della nostra città.
A proposito di economia, quanto sono importanti secondo lei i rapporti tra la politica e l’impresa?
Gli imprenditori sono importanti, però secondo me non devono fare politica. Ai miei tempi escludevamo anche le loro candidature dalle liste. Gli imprenditori devono fare gli imprenditori, e la politica deve favorirli senza che questi ultimi possano condizionare la politica a loro esclusivo vantaggio.
La sua classe dirigente favorì il rapporto con l’impresa della città?
Con le iniziative che portavamo avanti, assolutamente si. Realizzammo la galleria d’arte moderna, l’area artigianale, la Collina Storica. Una lunga serie di lavori pubblici che abbiamo promosso nel tempo e che certamente ha prodotto ricchezza. Sento di poter dire che una larga fetta di imprenditori di questa città, ai tempi della DC, votarono per me perché vedevano lo sforzo che profondevo in loro favore in modo del tutto disinteressato. Oggi l’attività produttiva e di lavori pubblici è ridotta ai minimi termini.
E a cosa è dovuto?
Anzitutto nel ritardo nella stesura del Piano Regolatore. Era un impegno dell’ultima campagna elettorale, l’anno prossimo voteremo e non esistono ancora dei tecnici che sono stati coinvolti per mettere mano al Prg. Ed è ovvio che senza questo importante strumento l’attività imprenditoriale ed edilizia si spegne. Serve disegnare un nuovo sviluppo del territorio, ed io francamente non credo che gli attuali amministratori abbiano queste intenzioni.
Che cos’è per lei la legalità?
Agire secondo moralità e secondo legge. Più secondo moralità che secondo legge.
In che senso?
La moralità è più assorbente della legge. Ci sono comportamenti, anche leciti, ma che non sono del tutto conciliabili sul piano morale.
Le ho fatto questa domanda perché nelle scorse settimane è emerso un fatto grave, smentito da nessuno, secondo cui l’ospedale di Paternò sarebbe stato ridimensionato sulla scorta di dati falsati.
E’ un fatto gravissimo. Se fossi stato sindaco avrei certamente approfondito anche attraverso dei tecnici. Onestamente, non so perché il sindaco Mangano non si sia esposto sulla vicenda.
Se lei fosse stato un senatore paternese, il cui partito di appartenenza avesse espresso il ministro della Sanità, lei cosa avrebbe fatto a proposito dell’ospedale?
Se rispondessi potrebbe essere coinvolto un mio parente, che è il senatore Salvo Torrisi. Non mi sento di rispondere a questa domanda.