Sulla stupidità dell’invidia

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di Giuliano Guzzo

Anche se non è detto sia il più pericoloso, titolo che spetta forse all’odio, il sentimento dell’invidia detiene senza dubbio – e senza rivali – un primato: quello della stupidità. Quello che già Aristotele definiva come «dolore causato da una buona fortuna» a «persone simili a noi» (Retorica, 1387 b 22-25) è, infatti, benché quando lo sperimentiamo tendiamo a non considerarlo, un «dolore» del tutto privo di senso. Sia chiaro: certamente esiste pure un profilo immorale nell’invidia – tanto che Dante (1265–1321) colloca gli invidiosi in Purgatorio come anime cieche e lacrimanti, con le palpebre cucite con un filo di ferro, serrate come quando in vita costoro guardavano i beni degli altri e non il loro cuore – , ma quello su cui vorrei brevemente riflettere, qui, è appunto la totale stupidità di detto sentimento che pure, purtroppo, è largamente diffuso.

Perché l’invidia è insensata? In primo luogo perché è del tutto miope invidiare qualcosa ad un’altra persona senza considerare che qualsivoglia fortuna – anche la più invidiabile, per l’appunto – non è che parte di un’esistenza e come tale va considerata. Un esempio: non è escluso che qualcuno abbia invidiato i passeggeri che, per il viaggio inaugurale, poterono permettersi di viaggiare in prima classe sul Titanic, allora la nave più grande e lussuosa del globo. Tuttavia, sarebbe bastato appena qualche giorno – in quel caso ma anche in altri, perché la vita è davvero imprevedibile – per comprendere come ai milionari che, quella volta, salparono col transatlantico da sogno, ci fosse ben poco da invidiare. Non è che fortuna o privilegio, automaticamente, comportino tragedie: ma l’esistenza di ognuno è molto più complessa di quanto si possa pensare.

Ragion per cui, prima d’invidiare qualcuno, sarebbe il caso di pensarci due, anzi venti volte. Anche perché – seconda motivazione per cui il sentimento in questione è davvero, profondamente idiota – provare invidia per qualcosa che non si ha non solo non porta ad ottenerlo, ma conduce quasi sempre alla dimenticanza delle fortune (e dei beni) che già si hanno senza adeguata consapevolezza e gratitudine. Un caso emblematico è quello della salute: in assoluto il bene meno considerato mentre, magari, si vive invidiando la ricchezza, la bellezza o il successo altrui. Quando però la salute venisse a scricchiolare o – Dio non voglia – a mancare, ecco che sia gli invidiosi sia gli invidiati sarebbero costretti a riaprire gli occhi sull’autentica gerarchia della vita. Inoltre, una terza ragione per cui l’invidia è sinonimo di stupidità è perché, oltre a non far apprezzare ciò che si ha, inaridisce il cuore.

Di più: l’invidia abbruttisce. Rende cattivi, frustrati, infelici. L’invidioso – oltre che ingenuo e miope – è dunque pure masochista e, senza rendersene conto, è il primo nemico dell’invidiata felicità che crede di scorgere, per esempio, nel conto in banca che non avrà mai o, più modestamente, nelle fotografie esotiche, su Facebook, dei propri amici. Ovvio: esiste pure un’invidia “buona” perché leggera, naturalmente transitoria e persino ironica; ma quella, a ben vedere, non è vera invidia. La vera invidia – dalla quale tenersi ben alla larga – è un’altra, e cioè quella di cui si è parlato finora, quella che corrode, talvolta fino ad arrugginire, l’anima di chi la sperimenta, di chi è convinto che il prossimo sia più fortunato pur avendo meno meriti, e viva quotidianamente baciato dalla Dea bendata. La vita, però, è un’altra cosa e, se davvero si vuole viverla appieno, si scopre presto come che sia troppo bella e breve per trascorrerla così, corrosi da rabbia idiota.