A chi ancora legge un giornale, a chi ancora sfoglia un libro

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политика-журнала

di Valerio Musumeci

Catania, esterno giorno, un pomeriggio di maggio (ieri). Mi aggiro nella maestà delle Ciminiere e mi chiedo come sia possibile che nessuno abbia ancora pensato di farci il Museo del Novecento Siciliano. Immagino un padiglione dedicato a Leonardo Sciascia – con una biblioteca, una mostra di acqueforti, proiezioni periodiche dei film tratti dalle sue opere – poi un’ala dedicata a Gesualdo Bufalino, una a Stefano D’Arrigo, una, naturalmente, a Manlio Sgalambro. Ne taccio tanti che mi sento in colpa (perché non Ignazio Buttitta?). Penso a un luogo di cultura e memoria – ho citato solo letteratura per deformazione, ma poi musica, scultura, arte varia – che sarebbe oggettivamente la meraviglia del mondo, tale da attirare gente dalla Russia, tanto per dire. Alzo gli occhi e una ciminiera mi sorprende in un paesaggio tolkeniano di rovina e grandezza, di decadenza e desiderio di qualcosa di nuovo. Ci vorrebbero decine di milioni di euro, per farlo come dico io. Penso e ripenso e intanto si fa tardi e me ne vado. 

Cena. Mi ritrovo a parlare di queste cose e del perché il libro, sineddoche di tutta la cultura, sia oggi un oggetto così svalutato. La colpa è degli editori, dice. Vero. Ma è anche degli scrittori. Spostando l’argomento sui giornali, è dei giornalisti. Mi viene in mente qualche cosa di fenomenale, e cioè che domenica sera, a Messa, ho letto nella preghiera dei fedeli le seguenti parole: 

Perché gli scrittori, i giornalisti, i registi e gli operatori della comunicazione nel raccontare il mondo che li circonda siano sempre attenti e rispettosi della verità e della dignità di ogni persona e incoraggino a cercare ciò che è bello, buono, giusto e santo, preghiamo: Ascoltaci, o Signore.

E collego questo alla riflessione che sto facendo: se non c’è il Museo del Novecento Siciliano, se il libro è un oggetto svalutato è certo colpa di chi, nella politica e nell’editoria, cioè nella gestione del potere, non aiuta a far vivere queste cose. Ma pure è colpa degli scrittori, e se parliamo dei giornali dei giornalisti. E’ colpa loro ogni volta che non sono stati attenti e rispettosi della verità e della dignità di ogni persona e non hanno incoraggiato a cercare ciò che è bello, buono, giusto e santo. Siccome il messale non può dire le cose duramente come posso dirle io, aggiungiamo: è colpa loro – quindi nostra, quindi mia – ogni volta che si sono venduti, che hanno messo l’interesse economico o l’ideologia prima della verità, ogni volta che hanno servito un politico compiacente, ogni volta che non hanno osato ergersi contro, ogni volta che non sono stati gli anticorpi della società, ogni volta che hanno bestemmiato Pippo Fava che del giornalismo aveva “un concetto etico”, ogni volta che hanno ricordato Pippo Fava dopo averlo bestemmiato, ogni volta che si sono incarogniti sopra le carcasse dei caduti (l’ultimo è Maniaci, e caduto e innocente non sono sinonimi), ogni volta che hanno fatto carne di porco della loro bella deontologia, ogni volta che semplicemente hanno fatto questo mestiere, che è il più bello del mondo, senza entusiasmo e senza passione. 

A chi ancora legge un giornale, a chi ancora sfoglia un libro la nostra categoria dovrebbe ergere una statua. Dopo tutto ciò che abbiamo combinato conserviamo una credibilità, ma non è nostra, è ciò che resta di quella che andiamo sciupando dei nostri padri. Grazie, sconosciuto lettore, grazie se hai letto e giudicato e continuato a leggere. Grazie se ti sei fatto un’opinione indipendente dalla mia. Grazie se nonostante la pochezza dei miei argomenti e la carenza dei miei buoni propositi hai voluto darmi questa fiducia. Scusa, questo non è un editoriale, né un articolo, ma neppure una pagina di diario. So che, grande come tu sei, non me ne vorrai.