Niente da dire, il format è sempre efficace e al presidente del Consiglio va il merito di reinterpretarlo ogni volta con grande capacità. Ambiente elegante – il Teatro Massimo Bellini, a Catania, ma potrebbe essere qualsiasi luogo d’arte italiano, un museo, un’università, tutti posti che ama frequentare e riempire delle sue chiacchiere – piglio sciolto, giacca coi revers stretti a dissimulare l’adipe crescente, un sindaco accanto a fare da spalla – e se è Enzo Bianco, uomo di intelligenza politica riconosciuta e in odore di candidatura alle regionali, tanto meglio -, una platea compiacente a dissimulare le contestazioni che fuori insorgono disordinate. C’è chi ha scritto su un cartello “Renzi ottinni”, vattene, ma dubitiamo che il premier accoglierà di buon grado l’invito. Invece parla, enumera dati, parla, idealizza, parla, sopratutto, e incanta i convenuti in teatro per la firma del “patto” per la città.
Sul “patto”, naturalmente, le reazioni della politica non si sono fatte aspettare. «Il nostro premier è arrivato in elicottero per firmare un “pacco” per Catania – dice il consigliere Manlio Messina, oppositore puntuale del sindaco e del governo – Oggi abbiamo assistito allo show inutile di un presidente non eletto che viene a raccontare di un “patto per Catania” cambiando nome all’unico “patto” previsto – non da lui – che è il “patto per il Sud“. Il presidente Renzi finge di destinare nuovi fondi a Catania, come anche inaugura viadotti mai crollati per continuare a raccontare la sua storiella ai siciliani e ai catanesi, anche per contenere il malumore montante nei confronti delle amministrazioni di centrosinistra». E non è solo la destra a levare critiche all’evento, una passerella ritenuta superflua se non offensiva. Matteo Iannitti di Catania Bene Comune alza i toni: «Il Governo Renzi disprezza la democrazia, che sta uccidendo con una legge elettorale autoritaria e una controriforma che smantella la Costituzione nata dalla Resistenza. Il Governo Renzi sta avallando le politiche xenofobe e razziste dell’Unione Europea, sta alimentando politiche di austerità che favoriscono la guerra tra poveri». A queste dichiarazioni si è aggiunta la protesta di talune sigle sindacali, con il risultato che il premier le ha prese da destra, da sinistra e in diagonale, pur senza mostrare segni evidenti di cedimento. Lui si è detto entusiasta di aver visto una città “bella”, e aveva tutta l’aria di credere che questa bellezza dipendesse da lui. Potere dell’autonomia caratteriale del disinibito toscanaccio, che per dirla in termini tecnici se la canta e se la suona da solo, stavolta con Bianco a curare l’arrangiamento.
A Catania si trova bene, diciamolo. Lo avevamo scritto non più tardi di qualche settimana fa, quando descrivevamo l’importanza della toscanità nella politica del premier, e il rapporto tra questa toscanità e la sicilianità quanto a buzzo buono nell’affrontare i problemi e le persone. Oggi al Teatro Massimo abbiamo visto questo: un uomo disinibito e feroce che va all’attacco di quella che ritiene – incredibile! – una giara di voti a sua disposizione. Basta parlare di cultura, di lotta al terrorismo, di investimenti, di banda larga, di inaugurazioni di cose che poi si scopre non avevano avuto nessun problema – è vero – di ponte sullo Stretto, di stretta alla corruzione, di trionfo della legalità di legalizzazione del trionfo. Il suo.