di Andrea Colombo
Difficile negarlo: qualche sospetto spunta anche nei meno malpensanti guardando al regalone che il nababbo di Arcore ha fatto all’ex socio di stanza a palazzo Chigi. Mantenere in campo un candidato come Guido Bertolaso, che ha come unica funzione quella di disturbare Giorgia Meloni, è uno di quei favori che ripagarli costerebbe un capitale. E’ possibile che qualche accordo inconfessabile ci sia davvero, però anche al netto dell’eventuale e turpe scambio, sta di fatto che i due ex contraenti del Nazareno un interesse comune squisitamente politico, tale da giustificare la mossa all’apparenza suicida del pregiudicato, ce l’hanno. Per l’uno come per l’altro è fondamentale che Roberto Giachetti arrivi al ballottaggio.
Renzi la partita romana la giocherà il 5 giugno, non due settimane dopo nei ballottaggi. Gli basta piazzare il suo campione tra i primi due arrivati e se poi perde poco male. Da settimane i media ripetono che «Roma è una situazione particolare», senza poi entrare nel dettaglio, nemmeno sulla città eterna si fosse abbattuta qualche epocale pestilenza.
Data la «situazione particolare» arrivare alla sfida finale per Renzi è già grasso che cola. Se ce la fa, se ne vanterà come Cesare al ritorno dalle Gallie. Nessuno sarà tanto volgare da segnalare al geniaccio di palazzo Chigi che se un leader di partito brucia il sindaco della prima città italiana pur calcolando che, viste le “particolari” circostanze, consegnerà la stessa a quache rivale politico, è nella migliore delle ipotesi un irresponsabile.
Il leader azzurro si gioca anche di più. Deve dimostrare che, pur col vento europeo, i fascioleghisti della coppia rampante senza il suo supporto non vanno da nessuna parte nemmeno nella roccaforte romana, e figurarsi nel resto della penisola. Il calcolo può essere accusato di cinismo, ma non di infondatezza. E’ probabile che, dietro le sparate d’ordinanza, il re detronizzato si renda conto da solo di non poter più essere il leader della destra italiana. Ma di qui a rassegnarsi al ruolo di intendenza destinata a seguire senza proferire verbo ce ne passa, Se proverà di poter silurare l’ex ministra nella sua piazza, Berlusconi avrà anche dimostrato di non poter essere trattato da nonnetto ingombrante ma innocuo.
I vantaggi dell’eventuale arrivo in finale di Giachetti sono equamente ripartiti tra i Nazareni. Le nefaste conseguenze di una sconfitta invece non sono simmetriche. Renzi rischia molto, Berlusconi tutto. Per il premier la mazzata, soprattutto se accompagnata da una sconfitta di Sala a Milano sarebbe ferale. Quelle sui referendum-plebiscito sono chiacchiere da buvette: c’è una sola prova elettorale vera, e sono le elezioni politiche. Prima di quella prova ci sarà un solo segnale davvero significativo e incisivo: le amministrative di giugno. Perdere vorrebbe dire per il premier affrontare la prova finale gravato dall’ombra del declino invece che circondato dall’aula del vincitore predestinato. Per Berlusconi, però, Giorgia Meloni al ballottaggio nonostante il suo pollice verso sarebbe peggio: la sentenza capitale. La scommessa consistente nel puntare ancora su un partito moderato di massa alleato con la destra da posizione egemone risulterebbe sconfitta almeno per un lungo periodo. Il giorno dopo inizierebbe una emorragia dal partito azzurro, forse non fragorosa, senza scissioni, ma continua e micidiale. Berlusconi si ritroverebbe capo di un partitino non diverso da quelli di Fitto e di Alfano, in competizione per un paio di seggi e relegato nella sola posizione che per Berlusconi è inaccettabile: quella subalterna. Il Manifesto