Quattro anni, tre governi e un comune denominatore: il crollo della produzione industriale italiana, che nel 2014 è risultata di 8,7 punti percentuali più bassa rispetto al 2010, anno preso come riferimento del calcolo. Lo scrive IlGiornale. Questa performance colloca l’Italia tra i fanalini di coda sia dell’area euro (al quindicesimo posto su 18) che dell’Ue a 28 (venticinquesimo posto).
Le tabelle Eurostat, rielaborate dall’agenzia Adnkronos, hanno reso evidente come il nostro Paese non sia riuscito mai a recuperare il calo di produttività generato dalla crisi del 2011 e aggravato dalla cura a base di austerity. Eppure ben otto nazioni di Eurolandia sono riuscite, nello stesso arco di tempo, a conseguire una crescita. Tra queste si annoverano Germania, Belgio e Austria. Tutte le economie che gravitano nell’orbita di Berlino hanno ottenuto buoni risultati, mentre l’Italia si depauperava industrialmente. Questo discorso mette in questione gli esecutivi che dal 2011 hanno sostituito l’ultimo leader democraticamente eletto, Silvio Berlusconi. Posto come base 100 l’indice della produzione industriale del 2010, si ottiene che l’ultimo segnale positivo appartiene al Cavaliere (101,2 nel 2011). A seguire la mazzata montiana (94,8 nel 2012), la deriva di Enrico Letta (91,8 nel 2013) e per concludere l’impotenza di Matteo Renzi nei suoi primi dieci mesi di governo (91,3 nel 2014). A ulteriore detrimento dell’attuale premier occorre ricordare che l’anno appena terminato, pur con un’inversione di tendenza (il Centro studi di Confindustria stima un incremento dell’1,2% nel 2015), non è stato esaltante giacché trascinato dagli exploit del comparto auto e della raffinazione petrolifera. Nel corso degli ultimi dodici mesi, invece, Francia, Spagna e Gran Bretagna hanno recuperato quasi tutto il divario con il periodo anteriore alla crisi da spread.