Padre Salvo lei è uomo di Chiesa. Cosa avrebbe fatto al posto del sacerdote chiamato a celebrare i funerali di Vittorio Casamonica a Roma, appartenente all’omonimo clan mafioso?
Tanto è stato scritto e detto sul funerale di un presunto mafioso che c’è stato a Roma, per cui io non ho nulla da aggiungere. Innanzitutto, se non avessi saputo chi era il defunto, e vi assicuro che ai parroci capita spesso di celebrare funerali di donne e uomini che non si conoscono, avrei celebrato le esequie. Ma certamente non avrei permesso tutto quello spettacolo che si è visto dentro e fuori la chiesa. Non avrei fatto appendere striscioni di cattivo gusto e discutibili per il contenuto sulla facciata del luogo sacro. Non avrei permesso tutti quegli applausi e grida soprattutto dentro le mura della chiesa, anche se purtroppo dobbiamo ammettere che stanno diventando normalità anche nelle nostre città di periferia, facendo diventare il funerale non un’occasione di suffragio per il morto e conforto per i parenti e amici, ma un oltraggio alla memoria e al dolore.
E se avesse saputo chi era?
Mi sarei certamente chiesto cosa fare. E soprattutto, avrei chiesto lumi ai miei superiori affinché la decisione condivisa fosse segno della testimonianza di una Chiesa locale, chiamata a confrontarsi anche con situazioni del genere.
Pensa di dover muovere delle critiche?
Mi stupisce che il Vicariato di Roma, a differenza di tante Diocesi ed in particolare del Sud Italia, non abbia delle direttive riguardo ai funerali di mafiosi. Forse perché ancora i nostri connazionali del Centro Nord pensano che la mafia sia solo un fatto meridionale e non hanno, o non vogliono prendere consapevolezza che ormai queste organizzazioni malavitose hanno esteso i loro tentacoli su tutto il territorio, Roma compresa. Certamente, va detto che si tratta di situazioni particolari in cui a volte noi parroci possiamo trovarci e che fanno si che, qualunque decisione uno prenda, rischi di sbagliare e per la quale c’è sempre chi ha da ridire. Ma in quello che è successo a Roma sarebbe stato più opportuno una azione più chiara e inequivocabile della Chiesa, che dopo le parole di San Giovanni Paolo II ad Agrigento e di Papa Francesco in Calabria non può più alimentare questi equivoci, perché “Vangelo e malavita” sono inconciliabili. Diavolo e Acqua Santa devono stare lontani. Santini e armi non possono essere impugnate dalle stesse mani. Più chiarezza e limpidezza della Chiesa nei confronti della mafia, anche se non sempre è facile per dei “poveri” parroci districarsi in situazioni come quella accaduta nella nostra Capitale. Ed uscirne indenni.
Andrea Di Bella