di Maurizio Belpietro
Sono passati 15 anni e la scommessa è vinta. Non da me, che all’epoca non c’ero. Da chi contro tutte le previsioni il 18 luglio del 2000 tenne a battesimo Libero. Insieme con Vittorio Feltri, che la guidava, in redazione c’era una banda di ragazzi piena di buona volontà. Ma la buona volontà spesso non basta e guardando dall’esterno tutti o quasi pensavano – pensavamo – che Libero non sarebbe durato molto, giusto il tempo di bruciare i pochi, pochissimi, soldi che la sparuta compagine azionaria aveva investito nell’impresa.
Vittorio Feltri mi ha confidato che in quel periodo non riusciva a dormire la notte: si girava e rigirava nel letto pensando ai conti da far quadrare, alle copie che inizialmente erano scarse, a una redazione confinata sopra un’officina, vicino a un centro sociale e ai margini della linea ferroviaria, così che a ogni passaggio di treno le stanze rimbombavano.
Quando si ricorda l’inizio di un’avventura si tende un po’ a enfatizzare, a descriverla come epica. In realtà, per quanto riguarda Libero c’è poco da enfatizzare: le cose stavano esattamente così e lo posso dire io che ho seguito l’impresa dall’esterno, sull’altra sponda, quella del concorrente. Ciò detto, se si ripassano in rassegna le prime pagine di 15 anni, alcune delle quali trovate qui, in questo numero speciale, si può essere fieri. Per tre lustri Libero ha raccontato un pezzo di storia d’Italia in maniera chiara, senza infingimenti, inaugurando uno stile giornalistico franco e irridente, che per certi versi ricorda le esperienze di Leo Longanesi, del Borghese, dell’Indipendente. I titoli non sono stati mai compassati, le prime pagine sempre scoppiettanti. All’inizio i colori della casa erano verde e giallo, in omaggio alla compagnia telefonica che avendo un portale di nome libero aveva scelto di sponsorizzare i primi numeri. Poi il tratto distintivo sono diventate le vignette di Benny, uno sfottò al potere, che spesso meglio di tante parole ha rappresentato le miserie e gli errori di una classe dirigente.
A riguardare ora quelle pagine si può dire che Libero ha anticipato molti dei temi che poi sarebbero diventati centrali nel dibattito politico ed economico. Non solo li ha anticipati, ma prima di quelli che si autodefiniscono esperti di qualche cosa, li ha capiti. Un esempio? All’inizio del 2002, quando tutti festeggiavano l’arrivo della moneta unica, il titolo di Libero fu il seguente: “L’Italia all’eurodelirio”, e il racconto dell’improvvisazione con cui debuttò l’euro faceva capire che nonostante fosse «appena nato avrebbe fatto presto danni». Francesco Cossiga, che sulle nostre pagine si firmava Franco Mauri, la definì l’orgia dell’euro, spiegando i pericoli della fantasticheria della moneta unica. Concetti ribaditi qualche tempo dopo, quando Romano Prodi si vantò di aver salvato l’Italia portandola nell’euro, con un titolo che era già un commento: “Bel Pirla”.
Linguaggio troppo crudo per i giornalisti da salotto abituati ad essere politicamente corretti? Pazienza, ogni tanto bisogna parlare chiaro. Come quando un guerrigliero jihadista mostrò al mondo la testa appena tagliata di Nick Berg, un ragazzo di 26 anni colpevole solo di essere americano e di aver coltivato degli ideali. Libero scelse di mostrare ai lettori quell’immagine cruda, mentre altri pudichi la occultarono per non turbare l’opinione pubblica. Una foto a tutta pagina, sotto il titolo “Civiltà islamica”. Titolo profetico, che si potrebbe riprodurre ogni giorno, perché ogni giorno siamo alle prese con la civiltà islamica. L’ultimo esempio è la strage nel Tennessee, il precedente quella sulla spiaggia in Tunisia, ma nel mezzo ci sono tutte quelle compiute quotidianamente nei paesi islamici. Dopo l’11 settembre Libero si schierò con l’America senza se e senza ma. Una scelta di parte, abbracciandone la bandiera, distribuita insieme con il giornale.
Ma il nostro giornale si può far vanto di aver capito prima di altri anche il movimento Cinque Stelle. Quando gli altri trattavano il comico che lo aveva fondato come un fenomeno da baraccone, il giornale uscì a tutta pagina con un titolo in cui ci si chiedeva se Grillo fosse poi così stupido. «Il comico riempie le piazze e trascina il popolo di internet contro i partiti e la politica. Molti ridono, ma qualcuno comincia a temere un nuovo caso Lega». Era il 2007, sei anni dopo i pentastellati avrebbero dilagato alle elezioni politiche, umiliando Pierluigi Bersani, e solo allora la grande stampa aprì gli occhi. E nel 2008, sempre Libero, raccontava i Papponi di stato, ossia deputati e senatori raccontati da un ex deputato: tutti i privilegi dei rappresentanti del popolo all’insaputa del popolo.
Nel 2008 un’altra prima pagina che avrebbe fatto epoca, questa volta su Berlusconi. Noemi non si era ancora affacciata e neanche Patrizia D’Addario o Ruby, ma Libero uscì con “Il guaio è la gnocca”. Il Cavaliere aveva appena vinto le elezioni e nulla lasciava presagire che di lì a tre d’anni sarebbe stato disarcionato, ma che le donne fossero il suo tallone d’Achille si sapeva e dunque si poteva immaginare che su quelle lo avrebbero messo in croce, come poi accadde. “La patata bollente” fu la puntata successiva all’inizio di gennaio del 2011. Silvio era ancora a Palazzo Chigi, ma l’assalto alla camera da letto stava per partire e con esso l’offensiva finale dei pm.
Le date con Libero sono importanti, perché i titoli arrivano prima che molti eventi accadano, ad esempio la fine ingloriosa di una parte del centrodestra. Nel 2010 Fini si ribella a Berlusconi e organizza una rivolta cercando di farlo cadere. Prima del voto di sfiducia, in prima pagina pubblicammo una letterina ai traditori, invitando i lettori a scrivere agli onorevoli che eletti con il Cavaliere facevano di tutto per farlo cadere. «Molti di voi erano perfetti sconosciuti, eletti solo perché sulla scheda c’era Berlusconi. Ora volete cacciare il premier e andare a sinistra: i cittadini vi puniranno». Detto fatto: di quei volti pubblicati in prima pagina non resta più nessuno. Spazzati via dal voto degli italiani, che a Fini tributarono un risultato omeopatico.
E di Mario Monti vogliamo parlare? Mentre la stampa italiana lo trattava da statista e da salvatore della patria, Libero uscì con il titolo Super Mario Bluff e una vignetta che lo ritraeva come il popolare personaggio dei giochi della Nintendo. Sbagliavamo? Affatto, prova ne sia che oggi l’ex premier è ritenuto l’origine dei nostri guai. Non da solo, intendiamoci. Le responsabilità le condivide con Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica che volle farsi monarca e di cui Libero raccontò senza false reticenze errori e forzature costituzionali, beccandosi ben due denunce per vilipendio.
Ma guardando agli anni passati non si possono dimenticare altre prime pagine che anticiparono gli eventi. La prima risale a molti mesi prima che Matteo Renzi divenisse segretario del Pd. Le primarie non c’erano ancora state, ma Libero già titolava “Così Renzi farà fuori Letta” e poche settimane dopo, raccontando le mosse di colui che di lì a pochi mesi sarebbe diventato premier, Libero scriveva “Renzi è pericoloso e vi spiego perché”.
L’elenco delle anticipazioni può continuare con la prima pagina in cui Antonio Socci raccontò, fra l’incredulità generale, le future dimissioni di Papa Ratzinger, puntualmente poi verificatesi o, con la prima pagina dedicata al pacco di Roma, ossia ai danni provocati da Ignaro Marino, un incapace in Campidoglio.
Quindici anni sono tanti. In quindici anni si passa dall’infanzia all’adolescenza e ci si affaccia alla maturità. Ma a rileggerli, questi quindici anni sono stati splendidi. Guardando le pagine si capisce che Libero ha attraversato un pezzo di storia d’Italia, quella del nuovo millennio, guardandola con uno sguardo disincantato e un sorriso, ma quasi sempre vedendo giusto. Non pretendiamo di aver avuto sempre ragione, diciamo che a posteriori i fatti spesso si sono incaricati di darcela. Dunque, per celebrare l’anniversario abbiamo deciso di regalare a tutti voi lettori un numero speciale contenente una rassegna di prime pagine. Non ci sono tutte, ce ne sono alcune tra quelle che hanno fatto più discutere. Ma il nostro è un assaggio. Un modo per ricordarvi che molte altre, divertenti e azzeccate, ne verranno.