1° maggio: festa dei lavoratori, per noi cristiani anche la festa di S. Giuseppe lavoratore. Un giorno dedicato al valore del lavoro, non solo come fonte di sostentamento dell’uomo, ma segno della sua dignità, perché attraverso il lavoro l’uomo diventa collaboratore di Dio nella creazione e contribuisce al benessere della società. Una festa che vuole garantire i diritti dei lavoratori, spesso oggi sacrificati sull’altare del profitto che è diventato l’unico criterio di valutazione e decisione nell’ambito economico. Una giornata per non dimenticare la drammatica realtà della disoccupazione che colpisce e umilia ormai quasi tutte le fasce sociali. Il Governo recentemente ha emanato una legge sul lavoro, sicuro che avrebbe invertito l’andamento negativo di questi ultimi anni e infatti, dopo neanche un mese dalla sua approvazione sono stati fatti dei proclami riguardanti l’aumento delle assunzioni e la diminuzione dei disoccupati. Premesso che, per me, togliere diritti, non è mai un progresso, c’è comunque qualcosa che non quadra se ogni giorno si parla di aziende in crisi, lavoratori che rischiano il lavoro, giovani costretti ad emigrare per guadagnare un pezzo di pane e sperare in un futuro migliore. Anche l’Istat ha confermato che c’è un preoccupante aumento della disoccupazione, soprattutto quella giovanile arrivata al 43,1%. Tutti dati ben noti a chi ogni giorno è a contatto con la gente e sa quanta sofferenza, quanta preoccupazione, quanta incertezza c’è nelle famiglie. Solo nei palazzi romani questo disagio non arriva, per cui si pensa e si dice che tutto va bene. Occorre piuttosto rimettere l’uomo al centro dell’economia, perché è il lavoro a servizio dell’uomo e non l’uomo schiavo del lavoro e degli interessi di chi lo gestisce. Occorre ridare dignità al lavoro e ai lavoratori e dare la speranza di un futuro migliore ai nostri giovani e alle famiglie di questa nazione che ancora crede di essere una “Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Padre Salvatore Alì