“L’OLIMPO DI CAMILLA” – Elogio della Lentezza: i benefici dello slow living

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di Federica Camilla Parenti

Il tempo è prezioso. Lo sa bene l’uomo che abita il Novecento, che ha fatto di accelerazione e velocità i pilastri su cui fondare una nuova visione del mondo: quella futurista, in cui la dimensione della reattività inibisce il senso dell’attesa, valore calpestato dalla società del “tutto e subito”. Basti pensare al senso di appagamento che il consumatore assapora nell’avere tra le mani un pacco ordinato su Internet; una sensazione cui il cervello si abitua, senza fare i conti con la propria natura: quella di un organo che, seppur catapultato nell’era della compulsione temporale continua a funzionare con i suoi tempi, a riprova del fatto che l’uomo non è programmato per andare troppo veloce.

Costantemente alle prese con la conciliazione di vita privata e lavoro, viviamo in un’epoca in cui impegni, performance, contatti e multitasking scandiscono il quotidiano, all’interno di un fluire in cui a stento, la lentezza prova a farsi strada, ingiustamente stigmatizzata in nome di una corsa alla prestazione. Ed ecco che non siamo più capaci di gustarci un tramonto, una goccia di rugiada sul suolo inumidito, la magia di un temporale estivo. Viviamo nel paradosso di un consumismo sfrenato che, se da un lato ci induce ad agire nel minor tempo possibile – per soddisfare un’aspettativa che spesso non collima coi risultati ottenuti – dall’altro ci getta nello sconforto derivante dalla consapevolezza del limite che ci accomuna: la finitezza delle umane possibilità.

Ecco allora che la tentazione di accelerare diventa inevitabile. Lo affermava vent’anni fa il giornalista canadese Carl Honoré nel suo libro Elogio della lentezza (2005), sostenendo che “l’uomo moderno è drogato di attività” e che “oggi la lentezza è sinonimo di pigrizia, stupidità, improduttività”. Per questo non siamo più in grado di apprezzare la magia dell’attimo presente, preferendo vivere in una condizione di superficialità che ci allontana dall’autenticità delle situazioni, e abbiamo finito per idolatrare la velocità. Siamo schiavi di un ingranaggio, convinti della nostra indispensabilità all’interno di un sistema dominato dalle lancette. E la tentazione di emulare la rapidità delle macchine che abbiamo prodotto è fonte di ansia e frustrazione; ma la fretta è una cattiva compagna, il cervello necessita di tempi lenti. In natura, l’evoluzione dei processi avviene in maniera ciclica, le forzature non sono contemplate: trecento milioni sono gli anni di cui la biosfera ha bisogno per la produzione dei combustibili fossili, la civiltà industriale ne impiega appena duecento per il consumo di più della metà, a conferma del fatto che i tempi dell’economia umana non coincidono con quelli di Madre Natura. Eppure, in questo quadro allarmante produttività è la parola chiave su cui si erge il nostro sistema, in nome di un profitto deputato ad apportare benefici a individui, aziende, nazioni. A fronte di ciò, il tentativo di trovare un maggior equilibro tra vita privata e professionale, ansia e stress lavorativo ha fatto del farmaco (o dell’integratore) un bene di prima necessità, a scapito di un corpo i cui ritmi biologici sono portati all’estremo, riducendone di molto la capacità di adattamento.

Tuttavia, decelerare fa bene al cervello, lo dice la scienza: stimola la creatività, migliora l’empatia, favorisce il consolidamento delle relazioni interpersonali, sviluppa la capacità riflessiva. Rallentare affina la consapevolezza sensoriale e la capacità di prestare attenzione ai dettagli, riducendo di molto lo stress, grazie alla modulazione del proprio respiro che comporta un calo dei sintomi depressivi. Inoltre, la lentezza incentiva lo sviluppo di alcune qualità come l’ascolto, la pazienza, l’attenzione e la capacità di discernimento: i ricordi si accentuano dopo aver rallentato il passo, la memoria si rinfresca quando si abbraccia uno stile di vita più “slow”. La lentezza è alla base di risultati più sostenibili e duraturi, proprio per l’abilità del cervello di agire a compartimenti stagni, garantendo risultati permanenti.

Questi presupposti sono alla base della Giornata Mondiale della Lentezza, che si celebra ogni anno il 06 maggio con l’intento di promuovere uno stile di vita più responsabile e introspettivo, in opposizione alla frenesia dell’epoca moderna: un’occasione per riflettere e disconnettersi dai nostri dispositivi, scegliendo di coltivare i propri interessi e relazioni più sane, in risposta allo stress digitale che ci sta privando del sonno. Nell’era della corsa, dove il potere maggiore risiede nella capacità di disporre liberamente del proprio tempo, ecco nascere una nuova forma di resilienza: la decelerazione.

Se la lentezza può sorprenderci positivamente e funzionare meglio della velocità, impariamo a dare una chance alle alternative contro la rapidità: riprendiamoci il tempo del pensiero, del riposo, delle relazioni in carne e ossa, di un pasto condiviso attorno a un tavolo; impariamo a camminare ponderando ogni passo e prestando attenzione al barlume di luce che filtra dal tralcio della vite. Facciamo del silenzio un fedele compagno e del ritmo del nostro respiro un cardiofrequenzimetro naturale. Torniamo a celebrare l’unicità del momento presente e a vivere hic e nunc.
La lentezza è un’arte, una mentalità, uno stato d’animo. È uno sguardo attento sull’altro, un nuovo orizzonte di senso. Si tratta di priorizzare la qualità, a scapito della quantità; di dare una pennellata di colore ai rapporti umani, all’amicizia, all’amore in tutte le sue forme. Impariamo a vivere la vita, senza “correrla”: concediamoci il lusso del tempo, imparando a vivere come un orologio senza pile.