Che la musica rivesta un ruolo cruciale come fattore di coesione è fuori discussione. Il valore antropologico di questa forma artistica affonda le sue ex radici negli albori della civiltà, fungendo da collante all’interno della stessa. E che l’Italia sia considerata una culla storica della musica è ormai assodato: “soprano”, “aria”, “andante”, “cavatina” sono solo alcuni degli italianismi in circolazione che fanno del nostro bagaglio musicologico un fiore all’occhiello.
Il 6 dicembre 2023 il Comitato per il Patrimonio immateriale dell’Unesco ha proclamato il canto lirico italiano patrimonio dell’umanità, conferendo dignità a una forma d’arte che porta la lingua del Bel Paese in giro per il mondo, restituendo dignità alla tradizione operistica. E in America Centrale c’è persino un popolo afro-indigeno che ha attinto alla musica per ravvivare la propria lingua, a rischio di estinzione: si tratta dei Garifuna, che hanno dato vita a un movimento culturale basato sulla musica volto a salvaguardare il proprio patrimonio orale, che l’Unesco ha inserito nella lista dei capolavori immateriali dell’umanità. Musica, dunque, come fattore coesivo anche oltreoceano.
Eppure, in Italia, l’assenza di una politica musicale di Stato ha fatto sì che la maggior parte dei governi degli ultimi anni abbia visto nel taglio delle spese sulla cultura e la sanità una possibile risoluzione ai problemi del bilancio pubblico. Solo nel 2009, il Miur ha promosso un taglio drastico dell’insegnamento della storia dell’arte nell’istruzione superiore, relegando le discipline umanistiche a fanalino di coda della proposta didattica.
Che la musica necessiti di un riconoscimento ufficiale da parte del governo è innegabile. A maggio 2024, in occasione della presentazione del tour che celebra i 40 anni di “Notte prima degli esami” al Mic, Antonello Venditti si è fatto promotore di un presidio costituzionale atto a conferire il riconoscimento della musica popolare contemporanea all’interno della Costituzione. “È l’unica arte non riconosciuta dal governo” – ha spiegato il cantautore romano, dopo aver presentato un disegno di legge al ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. “Voglio mettere la musica al riparo dall’intelligenza artificiale” – ha dichiarato. “[…] Nel nostro mondo l’intelligenza artificiale è il colpo di grazia: fine della nostra libertà, della nostra personalità individuale. Per questo io propongo questa legge che mette al riparo la musica contemporanea popolare, che non ha alcun diritto, che non esiste, da questi grandi nemici”.
A fronte delle criticità sollevate dall’artista, la domanda sorge spontanea: in questo scenario dove creatività umana e IA si fondono, come posizionarci?
Gli approcci non convenzionali introdotti dall’intelligenza artificiale hanno comportato un miglioramento della produttività, senza dubbio. La produzione musicale è diventata più accessibile, permettendo anche a coloro che non detengono alcuna competenza in materia di creare una canzone con un click. I primi studi scientifici sulla composizione musicale algoritmica risalgono al ricercatore russo Rudolf Zaripov, che funge da apripista al suo odierno utilizzo nel processo di mix e sound design, volto al perfezionamento del suono tramite l’ausilio di appositi plugin. Non solo; l’intelligenza artificiale consente di curare ogni aspetto della creazione di una canzone: clonazione della voce, testo, copertina, avatar del cantante. Inoltre, l’IA è in grado di interpretare e rispondere alle preferenze dell’ascoltatore, offrendogli un’esperienza sempre più customizzata.
Il conflitto tra reale e artificiale è al centro di un acceso dibattito che vede contrapporsi gli artisti – le cui opere vengono impiegate per l’addestramento dell’IA – e i colossi della stessa. In questo clima, diventano centrali i temi dell’autorialità e della proprietà intellettuale: è lecito che un automa possa rubare l’anima di un artista facendone una sintesi aleatoria pressoché perfetta, il cui risultato è un prototipo mostruoso quanto a qualità, versatilità, velocità e prezzo? Nel panorama dell’innovazione digitale trova posto il diritto d’autore, che pur avendo mutato forma e natura mira a difendere le opere creative di ogni genere, vietandone la riproduzione o l’utilizzo senza l’esplicito consenso dell’autore; autore, dotato di una personalità di cui l’automa è sprovvisto.
L’elaborazione di composizioni originali (output) da parte dell’IA funziona come un vero e proprio allenamento: l’IA viene addestrata a riconoscere e decodificare parametri chiave quali genere, tonalità, tempo, stile, grazie a database di registrazioni audio che ne orientano gli algoritmi. Il punto è che il più delle volte – lo conferma Universal Music – l’addestramento viene fatto illecitamente su contenuti protetti da copyright, il che viola i diritti degli autori, soprattutto se si considera il fatto che la creazione di output si basa su un prodotto figlio dell’attività psichica e corporea di un individuo: la fruibilità di un contenuto sul web non fa rima con sfruttamento, a maggior ragione se esso è oggetto di diritti di esclusiva, come nel caso delle opere protette da copyright. E l’output che ne risulta, altro non è che una trasformazione dell’opera originale.
Se la nuova frontiera dell’IA è rappresentata dal diritto d’autore, le principali tematiche riguardano la legittimità dell’uso dei dati utilizzati per l’addestramento della stessa – laddove coperti da privative – e la tutela delle creazioni da essa prodotte. Esiste, potenzialmente, un titolare in carne e ossa da considerarsi creatore, vista la loro natura “automatica”? La paternità dell’output spetta alla stessa IA, al suo sviluppatore, o al proprietario dei dati di training?
Gli interrogativi sono molti, l’approccio trasversale. Indubbiamente, l’impatto della tecnologia sulla storia della musica è cruciale. Produzione, arrangiamento, registrazione, esecuzioni live si sono evoluti grazie all’avvento della tech: le strategie che essa mette in campo sono sbalorditive e consentono il raggiungimento di risultati altamente performanti, talvolta impeccabili. Tuttavia, se l’arte in tutte le sue forme è una prerogativa del genere umano, il riconoscimento dell’artista, delle sue opere quindi della componente creativa – intrinsecamente umana – dovrebbe permanere il nocciolo della questione, perché non vi è macchina che possa in alcun modo sostituirsi all’emozione di una nota stonata.