di Federica Camilla Parenti – “L’OLIMPO DI CAMILLA”
Il 17 gennaio 2024 si è celebrata la dodicesima edizione della “Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali”, un’iniziativa nata con l’intento di salvaguardare il più vasto patrimonio immateriale di cui dispone l’Italia. Il nostro Paese è infatti la nazione più ricca di dialetti: se ne contano più di cento, di cui appena trentuno eletti a rango di “lingue regionali” dall’Unesco. Lo Stivale detiene il primato europeo in materia di varietà linguistica. E, se l’italiano standard è da considerarsi lingua ufficiale dello Stato, la nostra penisola consta di un capitale unico al mondo di parlate i cui tratti – fonetici, grammaticali, culturali e pragmatici – ne riflettono diversità e vivacità storica.
I dialetti italiani attingono alle antiche lingue regionali e al latino, cui si è aggiunta la commistione di elementi d’oltralpe, greci, germanici e arabici. Si tratta di sviluppi delle forme del latino usato dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente: una continuazione della matrice latina, il cui impasto si caratterizza da forti differenze geografiche e sociali che diventano veicolo delle conoscenze e tradizioni di un dato luogo. Potremmo dire, più semplicemente, che l’insieme dei tratti linguistici più o meno comuni costituisce il dialetto di un territorio.
Ma che cos’è un dialetto?
Gaetano Berruto, sociolinguista italiano, lo ha definito “una lingua che ha fatto carriera”. In questa accezione, esso si impone come testimonianza della storia e della ricchezza d’Italia, un’eredità cui corrispondono minoranze linguistiche da salvaguardare. I dialetti regionali hanno contribuito in maniera innegabile alla diffusione della cultura nella penisola: letteratura, musica e teatro ne sono intrisi, benché il fascismo sia arrivato a sanzionarli – tentando addirittura di sradicarli – a seguito dell’emanazione della riforma scolastica promossa da Giovanni Gentile. Fortunatamente, il dialetto ha trovato un’ulteriore dignità in forme letterarie e poetiche; si pensi, per esempio, alle opere del Porta, il più celebre poeta in vernacolo milanese. Per non parlare delle funzioni sociali del dialetto: nelle regioni con tanti centri urbani si registrano addirittura varietà scritte di maggior prestigio rispetto alle parlate più ristrette localmente, a dimostrazione che esistono parlate più o meno elaborate. Dialetto, quindi, come mezzo per interpretare la realtà circostante, dalle tradizioni locali ai toponimi.
Lingua napoletana, veneta, lingue gallo-italiche, gruppo toscano-corso, lingua sarda, lingua siciliana costituiscono i sei principali “macro ceppi” da cui hanno origine dialetti più specifici del nostro Paese; senza dimenticare la presenza delle lingue “retoromanze” e dei dialetti mediani, da cui sono nati dialetti “secondari” ricchi di elementi lessicali e grammaticali che in parte divergono.
La componente migratoria interna ha modificato in maniera irreversibile l’assetto socio-linguistico del territorio. Già con la proclamazione dell’Unità d’Italia si assiste al regresso parziale delle parlate locali, in nome di una lingua che faccia da collante dello Stato appena nato. Negli anni Sessanta, poi, il ruolo della televisione come catalizzatore didattico è cruciale: l’italiano standard domina i media, l’istruzione, la politica, gli affari. La scolarizzazione dei più piccoli porta a un graduale declino dei dialetti, che restano in voga tra le generazioni più anziane.
Tuttavia, negli ultimi decenni il dialetto è tornato in auge, tant’è vero che si è parlato di “dialetto-mania” per designare la tendenza, tra gli under 30, di usarlo fuori dalle mura domestiche. Indubbiamente, il palinsesto televisivo ha contribuito all’avvicinamento di una larga fetta della popolazione alla tradizione vernacolare: serie tv come Gomorra, Romanzo Criminale, L’amica geniale, Mare fuori e programmi comici come Made in Sud hanno finito per imporsi all’attenzione dei più giovani, facendosi portavoce di un’altra faccia del Bel Paese. Per non parlare del ruolo dei social media: Youtube, Facebook, Instagram, Tik Tok mostrano volti freschi, genuini che fanno del dialetto il principale canale di comunicazione, conquistando il pubblico dei giovanissimi. Il web pullula di remake di film, parodie di canzoni, brevi sketches pubblicitari in cui esso diventa il veicolo delle conoscenze e delle tradizioni di un piccolo agglomerato rurale; un viaggio attraverso le regioni d’Italia e l’identità dei suoi figli, il mezzo per empatizzare con i loro cuori e l’anima della sua gente.
E che dire del ruolo dei talent show? Da “Amici” di Maria, a “Nuova scena” su Netflix – persino l’ultima edizione del festival di Sanremo, tanto criticata per la presenza di una canzone quasi integralmente scritta in napoletano – ne hanno decretato il valore assoluto, contribuendo alla diffusione della koinè dialettale su scala internazionale: Angelina Mango si aggiudica il settimo posto all’Eurovision Song Contest 2024 con il brano La noia, piazzandosi in testa alla classifica dei brani più visti su TikTok, risultando la quarta cantante più votata dalle giurie dei 37 paesi.
Se il dialetto racconta una realtà pastorale ormai lontana, è pur sempre la lingua degli affetti, della casa, del lessico familiare, di quel senso di appartenenza e del legame con le proprie radici che il tempo consolida: non c’è da stupirsi, allora, se “le nostre lingue” incantano ancora al di là del confine.