di Daniele Lo Porto
Non ci voleva molto a capire che tutto questo prodigarsi intorno alla migrazione di massa e incontrollata verso la Sicilia (prima frontiera dell’Europa) nascondeva interessi pratici e sonanti. In un quadro politico ed economico nel quale le risorse per gli enti pubblici possono garantire solo l’ordinarissima amministrazione (in alcuni casi anche gli stipendi sono a rischio) e non più ingenti risorse per fare clientelismo, bisognava trovare qualcosa di diverso. Come a L’Aquila il terremoto è stata una manna per imprenditori sciacalli e politici spregevoli, dalle nostre parti l’emergenza migranti è stato l’equivalente. E nel panorama liquido di una politica senza più contrapposizioni ma cointeressenze, senza più controllori e controllati, ecco che la solidarietà è diventata business, a Roma come a Lampedusa. Ed anche a Mineo, in Sicilia. Le propaggini dell’inchiesta “Mafia capitale” con Luca Odevaine grande regista, corteggiato da attori e comparse locali, stanno già riservando brividi di paura e notti insonni a tanti, per primi a coloro che hanno cavalcato fin dal primo momento il mercato dei migranti, proponendosi e imponendosi. Se la Magistratura vorrà scavare in fondo avrà certamente tutti gli elementi per verificare un patto di ferro in un’area politica abbastanza vasta, che comprenderebbe correnti governative. Basterebbe verificare i criteri di assunzione adottati dalle cooperative e l’effettiva presenza sul posto di lavoro dei dipendenti. La suddivisione delle gare d’appalto (robetta da cento milioni di euro, mica spiccioli) ricorda poi il meccanismo collaudato nella Prima Repubblica, quando imprese bianche e rosse si spartivano alla lira i grossi appalti pubblici. Qualcuno ha pagato allora, qualcun altro si è bruciacchiato ma ci ha provato di nuovo, oggi come ieri. Sete di potere e di soldi, necessità di autoalimentare un sistema clientelare che ha consentito di ottenere cariche e onori in alcuni casi ben oltre le proprie e reali capacità. Luca Odevaine, dopo il tintinnare delle manette, è diventato un appestato dal quale prendere le distanze, del quale fare sparire anche le foto presenti su internet per evitare imbarazzanti accostamenti.
Che il Cara di Mineo fosse la macchina perfetta per alimentare certi meccanismi era evidente da tempo. Dai duemila ospiti si è passati ai quattromila, abbassando il livello di qualità della vita e della sicurezza di tutti. Ma questo poco importa: ci sono uomini in divisa pronti a fronteggiare tutte le emergenze. E che i tempi di attesa per il rilascio dello status di rifugiato politico anche oltre un anno fossero eccessivamente lunghi, sembravano funzionali ad accrescere la necessità di richieste economiche a Roma. Associazioni pacifiste, esponenti politici nazionali e locali lanciavano segnali di allarme da tempo, colpevolmente sottovalutati. Alla fine è stata necessaria un’indagine partita da lontano per accorgersi di una realtà di squallore politico che era sotto gli occhi di tutti. E chissà che anche l’operazione “Mare Nostrum” – nelle sue manifestazioni concrete, locali e contingenti – non abbia risposto alle stesse logiche.