Paternò, l’intervista completa al presidente del consiglio Laura Bottino

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di Andrea Di Bella

“Non ho mai chiesto la presidenza del consiglio. Quando mi proposero di guidare il Consiglio ho accettato perché penso che le competenze si acquisiscano”. Così inizia il dialogo con il presidente del consiglio comunale di Paternò, nei suoi uffici a Palazzo Alessi dove vengo accolto con molta gentilezza e garbo. Per rompere il ghiaccio le chiedo se è vera la storia del dualismo politico suo e del sindaco. Risposta: “La mancanza dell’amministrazione e del primo cittadino in particolar modo ha aperto certamente degli spazi. La gente ha così iniziato a cercarmi. Da lì il discorso del dualismo o presunto tale”. Ma allora cos’è successo? (Chiedo io) “Dal punto di vista interno abbiamo cercato di porre delle questioni relative al rilancio di questa esperienza amministrativa e più in generale della città. Abbiamo iniziato nel novembre 2013 con la consegna di un documento dei due gruppi consiliari di maggioranza attraverso cui chiedevamo al sindaco il rilancio su alcuni temi. Cresceva sempre più la necessità di risposte, mentre dall’altra parte c’era un’amministrazione arroccata sulle sue posizioni, convinta del fatto che il consenso prima o poi sarebbe arrivato. Adesso invece, in maniera del tutto strumentale – quindi non riconoscendo di fatto la gravità della situazione politica e sociale della città – sembra riconoscere alcuni limiti. Una volta gli chiedemmo quale fosse il suo obiettivo, ci rispose dicendoci che avrebbe voluto rivincere le elezioni. Gli dicemmo che l’obiettivo giusto era quello di governare bene la città. Se governi bene, confrontandoti serenamente con gli altri, puoi anche ambire a rivincere le elezioni. Mi sono prestata alla politica anzitutto come servizio. Non avrei nemmeno difficoltà a dimettermi se questo risultasse in qualche modo funzionale, e confesso che qualche settimana fa l’idea delle dimissioni è stata anche valutata. Non sono attaccata alla poltrona e sono disposta a dimostrarlo”.

E quando i consiglieri del gruppo Cittadini in Comune le chiesero di dimettersi? Perché non si dimise?
Perché secondo me il ruolo istituzionale va distinto dal ruolo politico. Quando mi dimostreranno di essere venuta meno al mio ruolo sopra le parti, ovviamente in Consiglio Comunale, allora questa pretesa potrà essere legittimamente avanzata. Un passaggio politico personale, anche questo legittimo, non può essere visto come un venir meno al mio ruolo di terzietà che rispetto molto.

Quindi perché il passaggio al Pd?
E’ stata la necessità di intraprendere in modo più agevole delle relazioni istituzionali sui più vari livelli. Anche con il presidente della Regione, con il presidente dell’Ars, con il presidente della Commissione Regionale Sanità, avevo instaurato rapporti tutti personali. Va riconosciuto, però, che appartenere ad un gruppo politico ti permette di interfacciarti alla politica in un modo totalmente differente. Il tutto anche per cercare di uscire da una sorta di provincialismo, di chiusura dentro questo territorio. Forse ho fatto male, non saprei. Non è stato frutto di un calcolo, questo posso assicurarlo.

E perché uscirne poco dopo?
Non potevo più restare. Il Pd stava assumendo delle posizioni che non erano assolutamente delle posizioni che potevamo condividere.

Forse c’è di mezzo anche la riunione di partito in cui il segretario provinciale Enzo Napoli venne a dettare la linea ai consiglieri comunali? Cioè quella di un “tutti col sindaco”?
In quella sede emerse una difficoltà oggettiva, una serie di problematiche che Napoli stesso riconobbe tutte. Situazioni che potevano essere sanate ed altre no. Si pose come mediatore per aiutarci a risolvere i problemi, attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro ristretto che raccogliesse le varie anime e che potesse interloquire col sindaco per cercare di sbrogliare la matassa. Dopo l’elezione di Filippo Sambataro segretario del partito a Paternò, si cercò non riuscendoci di dare vita al Pd. Credevo di potere dare un mio contributo. La rottura ultima nasce da questo, cioè da una dialettica che non è funzionata. La verifica dei percorsi va fatta anche in itinere. Porre continuamente le questioni non ha mai risolto nulla. Nel Pd, poi, non è mai emersa dalla base una vera posizione critica. Sono sempre emerse le volontà delle anime consiliari del partito, ma gli elettori, la base, non s’è mai fatta sentire in maniera forte rispetto alle istanze. Per due anni abbiamo sentito la gente lamentarsi, e ci siamo visti anche noi accusare di colpe non nostre. Lo strappo era inevitabile.

Ed arriviamo al consiglio comunale sull’IRPEF.
Quel consiglio comunale ha certamente fatto da spartiacque, ed ha senza dubbio accelerato un percorso che non poteva vederci attendere fino a Dicembre. Già la TASI fu un primo passaggio che riuscimmo a tenere sotto controllo. Sull’addizionale è stato messo in atto un gioco che non ci è piaciuto, non siamo stati messi nelle condizioni oggettive per potere valutare alcune cose molto importanti.

Chi ha ragione su questa storia dell’addizionale IRPEF?
Secondo me assolutamente noi.

E’ vero che queste risorse economiche per riequilibrare il bilancio c’erano, e che quindi non fosse necessario aumentare l’addizionale?
Il sindaco dice che i soldi non si potevano inserire in bilancio perché non era prudente e perché non c’era la certezza dei trasferimenti. Noi abbiamo dimostrato che la certezza c’era e c’è. L’Ente Comunale ha ricevuto una comunicazione il 19 settembre scorso in cui ci è stato detto: voi dovete approvare il bilancio e non arriveremo a pubblicare i decreti prima in Gazzetta Ufficiale. Per questo, potete iscrivere alcune somme in bilancio come mancati introiti dell’IMU. La Ragioneria dice invece che non è vero, che in bilancio ci sono già. Ecco la prima incongruenza: o ci sono o non ci sono. Ci hanno detto che c’erano e che erano nel primo capitolo del bilancio. I soldi non possono stare li, perché lo Stato ci dice che avremmo dovuto iscrivere a bilancio oltre 5 milioni di euro in quel capitolo, per non contare che avrebbero dovuto iscrivere le somme nel secondo capitolo: il capitolo primo è riservato ai tributi, il capitolo secondo registra i trasferimenti statali e lo Stato ti dice come iscriverli.

In sostanza? L’ufficio di Ragioneria ha torto?
Secondo me si. E la nostra tesi è stata confermata anche dai Revisori dei Conti.

Una domanda precisa: questo errore è un errore commesso dagli uffici di Ragioneria o è un errore commesso volontariamente su indicazione dell’amministrazione? Il sindaco sapeva che le risorse c’erano già?
Non abbiamo avuto modo di poterci confrontare seriamente e serenamente sul bilancio. Per di più soli cinque giorni per potere valutare la situazione prima della votazione in aula, perché la commissione ha restituito agli uffici la delibera sull’IRPEF in quanto priva di bilancio. Il giorno dopo ci è stata riconsegnata la delibera IRPEF con una bozza di bilancio assolutamente illeggibile. Se il sindaco sapeva non lo dico io ma lo dice lui, se volesse fare cassa immediatamente con l’IRPEF bisognerebbe chiederlo a lui. Probabilmente, approvando un’IRPEF in queste condizioni si potranno avere in cassa delle risorse in più da spendere. In ogni caso è una valutazione che non mi sento di approfondire. Se fossimo stati in una città con una economia di diverso tipo io penso che sarebbe forse stato giusto. Il dissesto, peraltro, non si dichiara in questo modo. Il dissesto si scrive. Secondo me così non era, il dissesto non c’era e non c’è. Il Consiglio non è stato messo nella possibilità di esercitare la sua azione di controllo. Colpire il ceto sociale che tiene in piedi la nostra città è quanto di più sbagliato possibile.

Sul gruppo Cittadini in Comune cosa dice?
C’è uno scollamento tra la base e il gruppo consiliare. E’ una situazione dentro cui non voglio entrare, si chiarirà nelle sedi opportune e tra i soggetti interessati.

Come mai Giuseppe Carciotto è stato destituito?
Ha interloquito benissimo in Consiglio, era presentissimo alle sedute e forniva documenti per quanto riguardava il bilancio. Era troppo autonomo rispetto all’amministrazione, era capace di autonomia politica e di pensiero. Questo è ciò che penso io. E, aggiungo io, forse perché il sindaco pensava di poter fare con Cittadini in Comune ciò che voleva. Probabilmente è così anche adesso.

E’ vero che nel gruppo degli 11 consiglieri esiste una prospettiva che va oltre l’operazione consiliare?
Non lo escludiamo. E noi, come gruppo dei fuoriusciti dal Pd, abbiamo lanciato un appello alle forze moderate della città ed in Consiglio affinché si lavori insieme ad una proposta alternativa partendo dai temi veri e concreti. Un progetto che non nasce in funzione della prospettiva elettorale, ma che si presenterà eventualmente alla città in maniera molto chiara e limpida. Nessun accordo, nessuna compravendita, in questo nessun tatticismo. Non vogliamo partire dalle candidature.

C’è chi giura che la sua figura sarebbe in questo momento la più rappresentativa.
Ci siamo detti che non partiamo dalle candidature ma dai progetti. A fine percorso si valuterà la figura esterna o interna che possa fare da sintesi. Adesso si lavora ad altro.

Quanto si è pentita di essersi candidata con Mauro Mangano sindaco? E quanto si pente in generale di avere questo sindaco?
Più che pentimento penso si possa parlare di essere stati traditi nelle aspettative. Ci si aspettava un processo molto forte dal punto di vista democratico, della partecipazione, della capacità di unire nella città, di potere far si che i cittadini potessero vedere nelle Istituzioni delle Istituzioni amiche. Più che pentita sono delusa dal fatto che in questo percorso non si è riusciti a raggiungere nessuno di questi obiettivi.

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