di Enrico Mentana
Mario Draghi fu chiamato dal Presidente della Repubblica per guidare un governo di unità nazionale, cui aderirono quasi tutte le principali forze parlamentari. La crisi di consensi e la scissione subita dalla principale di queste forze hanno indotto il suo leader a mettere in discussione quella adesione. Per questo il presidente del consiglio, che non è parlamentare né espressione di un partito o di una coalizione, ha deciso di dimettersi.
Fin qui è tutto lineare. Lo è molto meno lo psicodramma che si è avviato di lì in poi, quasi che le forze politiche improvvisamente avessero paura di perdere il tutore, e di doversi riprendere le loro rispettive responsabilità. È come se in Formula 1 i piloti e le loro scuderie chiedessero alla Safety Car di restare ancora in pista mentre sta rientrando ai box, per timore di riprendere il Gran Premio. Così però – attenzione – si rischia di trasmettere agli elettori due segnali pericolosi: che quel premier è meglio di ogni leader eletto, e che una scelta di emergenza è preferibile allo strumento principe della democrazia rappresentativa, il voto