I diritti sul volto antisistema alla Warner. Tratta da «V per Vendetta» ispira i movimenti di protesta. Ma c’è il copyright.
C’è almeno un pezzo di capitalismo che aspetta con un certo ottimismo la prossima ondata di manifestazioni e proteste contro Wall Street, contro la City di Londra, contro le banche e le grandi multinazionali. Nei giorni scorsi si è tornato a parlare del rilancio del movimento che aveva preso le piazze dopo lo scoppio della Grande Crisi, soprattutto tra il 2010 e il 2011. Dopo un anno di quasi silenzio, quelli del 99 per cento e i mascherati di Anonymous sarebbero pronti a tornare, a riprendere la strategia Occupy, l’occupazione di luoghi simbolo del sistema economico e statuale. A New York, più precisamente nel Queens, la famiglia Beige, capitalisti da quattro decenni, non vede affatto male la cosa. Lo stesso accade nel cuore di Manhattan, nel grattacielo della Time Warner. Come a Seattle, nella sede di Amazon.
I Beige possiedono una grande azienda di famiglia, con più di tremila dipendenti in 14 Paesi, la Rubie’s Costume Company. Si presentano al mondo come il maggior produttore di oggettistica per la festa di Halloween. Ma hanno anche 150 licenze per produrre su larga scala costumi di film, da Superman a Batman, da Harry Potter al Signore degli Anelli. Fino a «V per Vendetta». Time Warner controlla la Warner Brothers, che incassa diritti per ogni oggetto di merchandise che faccia riferimento, tra i tanti, anche a «V per Vendetta». E questi costumi del film del 2005 dei fratelli Wachowski sono distribuiti soprattutto da Amazon.
Bene: la maschera diventata simbolo di Anonymous e indossata poi da migliaia di militanti del movimento Occupy – bianca, le guance rosate, i mustacchi e il pizzetto nero pece e il ghigno inquietante – è tratta da «V per Vendetta»: significa che quando se ne vende una, dai sei dollari in su ma anche oltre i 50, una parte delle entrate va alla famiglia Beige, un’altra va in royalties alla Time Warner, una ad Amazon. Il movimento anticapitalista ha insomma finanziato un produttore della old economy, un rentier dei media e di Hollywood, uno dei grandi protagonisti della new economy. Un paradosso antico: è la famosa capacità del capitalista di produrre la corda a cui sarà impiccato, se siete marxisti; oppure è la famosa capacità del capitalista di rigenerarsi in tutte le circostanze, se siete schumpeteriani.
Il piccolo guaio, per le tre società coinvolte nel successo della maschera di plastica, sta nel fatto che la seconda metà del 2012 non è stata granché per i movimenti sociali globali. Alla Rubie’s Costume dicono di avere venduto maschere di Anonymous in gran quantità negli anni precedenti, «per più di centomila pezzi l’anno» nel 2010 e nel 2011. Periodo nel quale è stata uno dei prodotti best seller di Amazon (Time Warner non commenta sui dettagli delle royalties). Negli ultimi mesi dell’anno scorso, però, le vendite sono iniziate a calare. Non che i due grandi gruppi globali e la piccola multinazionale del Queens abbiano bisogno delle maschere di Anonymous per fare i bilanci: messe di fronte a una scomparsa del movimento o a un suo rilancio, però, probabilmente voterebbero per il secondo. Magari già a partire dal prossimo 1° maggio, come vorrebbero alcuni militanti.
In origine, la maschera è un modo per rendersi irriconoscibili alla polizia e per dare un segno di anarchismo antisistema scelto dagli hacker di Anonymous, famosi per avere mandato in tilt i siti web di imprese globali, a cominciare da Visa e MasterCard. La usarono per la prima volta nel 2008 in occasione di un’azione contro Scientology, a Londra e in 50 altre città del mondo: migliaia di volti coperti dal nuovo simbolo della protesta. Da quel momento, è diventata l’icona dei movimenti anticapitalisti e antisistema nel mondo, l’erede della mitica fotografia di Alberto Korda a Che Guevara. Fino a quando, nel settembre 2011, molti membri del movimento Occupy l’hanno fatta propria. Rappresentazione della lotta di un individuo contro uno Stato fascista, come nel film «V per Vendetta» e nel fumetto che l’ha ispirato. E, nella storia, citazione di Guy (o Guido) Fawkes, il ribelle che nel 1605 tentò di fare saltare il palazzo di Westminster a Londra (non ci riuscì e fu condannato a morte). Per il 99 per cento, un simbolo antipolitico e antisistema, insomma, diventato poi anticapitalista. Per l’uno per cento, un altro piccolo modo per fare utili.
di Danilo Taino (il corriere)