Ormai non nutro, pronto a rallegrarmi se sbagliassi, particolari speranze che i ricorsi di Donald Trump possano in alcun modo ostacolare l’ascesa di Joe Biden alla Casa Bianca. Epperò riconosco tutto il diritto del tycoon e del suo staff di esporre – fondate o meno che siano – le loro rimostranze sulle elezioni presidenziali dello scorso 3 novembre. Di più: quelle ragioni mi interessano, per capire e farmi un’idea. Peccato che così non sia per un giornalismo che, a reti unificate, ha stabilito che la notizia dell’ultima conferenza stampa degli avvocati trumpiani sia la tinta colante, mista a sudore, di Rudolph Giuliani. Certo, una scena singolare. Ma si possono ridurre due ore di conferenza stampa a questo?
Le tesi di un leggendario sindaco di New York, per giunta avvocato di un Presidente degli Stati Uniti, possono essere liquidate con uno sghignazzante risolino, della serie «guarda quello»? Beninteso: dallo Sfogatoio Collettivo dei social è lecito, ormai, aspettarsi di tutto. Ma dal giornalismo no, simili ironie non sono tollerabili; eppure sono le uniche riportate, dell’intervento degli avvocati di Trump. Naturalmente, parliamo dello stesso giornalismo pronto a condannare il bullismo e il body shaming, ma solo se stai dalla parte giusta. Se hai la statura di Brunetta, la ciccia di Ferrara o i capelli di Giuliani, tutto è consentito. Lo constato e, a malincuore, osservo che il più avvilente declino di Trump sarebbe un trionfo rispetto alla faziosità di chi, anziché fare informazione, sta scegliendo di fare pena.