Al di là della vicenda dell’«apertura» di Papa Francesco alle unioni civili – per quanto non tale, comunque non smentita dopo il terremoto mediatico, ed è la cosa più dolorosa -, vorrei richiamare brevemente l’attenzione su un grande equivoco contemporaneo, e cioè quello per cui l’«apertura» a nuovi tipi di famiglie, intesa come riconoscimento giuridico e culturale di nuclei non tradizionali per così dire, costituirebbe un passo in avanti. Ebbene, sfortunatamente è vero il contrario: l’unica vera «apertura» consiste nel preservare, senza tentennamenti, il primato della famiglia fondata sul matrimonio. Per tanti motivi.
Tanto per cominciare perché è quella spregiativamente bollata come famiglia tradizionale (quasi ne fosse, tra tante, la variante vintage ed ingrigita) l’unione più aperta alla vita. Ancora oggi, i figli nascono molto di più in coppie sposate e religiose, rispetto che nelle coppie di fatto, incluse quelle etero. In secondo luogo, ciascuno ha almeno biologicamente un padre ed una madre. Quindi la famiglia naturale – inclusa quella che adotta – è quella più aperta e prossima alla verità di ciascuno di noi, quella che meglio e più la rispecchia. Non va poi dimenticato, come terzo aspetto, che, più stabile e più prolifica, la famiglia fondata sul matrimonio è quella che più apre una società al futuro.
Non c’è insomma nessun bisogno di essere cattolici né credenti per capire che valorizzare la famiglia naturale – riconoscendola incomparabilmente superiore ad ogni altra unione – significa aprirsi a fecondità, verità e futuro. Paradossalmente, è quindi proprio sottolineando che esistono anche altre unioni, altre sensibilità, altri equilibri che, come società, ci chiudiamo alla realtà di un primato attestato da riscontri storici e antropologici, con tutte le conseguenze del caso. Perché ciò che non si è ancora capito è che possiamo pure non occuparci della famiglia, dando priorità a presunte «aperture»; ma questo, come mostrano gli agghiaccianti numeri della denatalità, non sarà un problema della famiglia. Sarà un problema nostro.