Nell’alluvione di commenti seguiti, in queste ore, alla tragica morte di Willy Monteiro Duarte – il ventunenne ucciso nel corso di una rissa la notte tra sabato e domenica a Colleferro, Roma, dopo aver provato a difendere da un pestaggio Federico, un compagno di scuola – colpisce la varietà di spiegazioni che si stanno dando a questo crimine, per il quale sono stati arrestati in quattro.
C’è chi attribuisce la genesi dell’accaduto al degrado, chi all’ignoranza, chi ai tatuaggi, chi alle arti marziali (praticate dai responsabili dell’aggressione), chi all’intolleranza e chi – come Chiara Ferragni, influencer prestata alla sociologia – alla «cultura fascista». A differenza di tutti questi opinionisti, non so di preciso cosa abbia spinto chi lo ha fatto ad uccidere il povero ed eroico Willy. Eppure, al tempo stesso, lo so: il Male. La mancanza di autocontrollo, di vera stabilità, di valori degni di questo nome.
Il Male, appunto. Un abisso che ci contamina tutti ma dal quale alcuni – per ragioni queste sì particolari – sono fatalmente attratti più di altri, fino a compiere i crimini peggiori. Il punto è che del Male non si parla più. Non per la vicenda di Colleferro, in generale. Il che non è grave: è catastrofico. Perché non solo ci impedisce di cogliere il peso della responsabilità individuale, comunque presente, nel compiere azioni malvagie, ma ci impedisce di attuare una vera prevenzione di atti tanto terribili.
Una prevenzione che, c’è poco da fare, ha un solo nome: educazione, orientamento e ricerca del Bene. Proprio, e del prossimo. Se viceversa pensiamo che la «cultura antifascista» – quella dei crimini dei partigiani? – o la «cultura» in senso generale – come se non esistessero uomini terribili tra gli acculturati – bastino per evitare nuovi casi Colleferro, ecco, siamo fuori strada. Ma anni luce fuori strada. Per il semplice fatto che, come sta avvenendo, di queste tragedie non siamo neppure in grado di nominarne l’origine.