Sono almeno tre decenni che si parla del taglio dei parlamentari, senza mai arrivare a nulla di fatto. E, infatti, come volevasi dimostrare anche stavolta, man mano che ci si avvicina alla data del referendum il fronte compatto del Sì si sgretola, con le fila del No che si ingrossano specie dal fronte del centrosinistra e creano scompiglio.
Si rifà vivo pure l’ex premier Romano Prodi il quale pensa «che sia più utile al Paese un voto negativo, per evitare che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire altre, ben più decisive per il nostro Paese».
Altri sinistroidi si uniscono a lui, in attesa di una direzione del Nazareno. Un buon pezzo dei dem fa campagna per il No. Matteo Orfini non ha mai nascosto la sua contrarietà, e la pattuglia dei Giovani turchi lo segue convintamente. Gli fanno compagnia i senatori Vincenzo D’Arienzo e Tommaso Nannicini (che ha dato vita al comitato «Democratici per il No»). «La sola amputazione della rappresentanza comporta un rischio di malfunzionamento del sistema», farfuglia Beppe Fioroni su Il Foglio. Pure il sindaco di Milano, Beppe Sala, nicchia. «Ci sono buoni motivi per votare sì e per votare no. Questo taglio lineare ci garantirà?».
E il povero Nicola Zingaretti che dice «siamo persone perbene. E manteniamo gli impegni», viene ricoperto di pernacchie. Il leader di Azione, Carlo Calenda: «Avete perso la bussola».
No anche per la ex presidenta Laura Boldrini, e con lei tutti gli ex compagni di Sinistra italiana. E la leader di Più Europa, Emma Bonino, vuole «ritrovarci in una piazza, contro a una riforma fatta male e pericolosa».
Nel Movimento 5 Stelle si rasenta la caccia alle streghe. Già, perché chi prova ad essere contrario ad uno dei dogmi del partito viene crocifisso. Come hanno fatto con il deputato M5s Andrea Colletti che fa il kamikaze in solitaria per il No, e che viene, poco educatamente, invitato a levarsi dai piedi, mentre lui ostinato non molla: «Questa riforma è stata pensata poco e male». In pochi del suo partito hanno avuto il coraggio di seguirlo. «Non è una battaglia di anti-politica, ma ci sono anche dei risparmi, mezzo miliardo nel complesso», spiega il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Italia viva è tra i partiti meno convinti della crociata, tra cui la senatrice Laura Garavini e i deputati Massimo Ungaro e Gianfranco Librandi. «Questa non è una riforma costituzionale, si vota su uno spot. Le istituzioni, così, non funzionano», si sfila il segretario di Italia Viva, Matteo Renzi, quello che voleva abolire il Senato, lasciando libertà di coscienza. Chi non è convinto per niente è Forza Italia. C’è la capogruppo a Palazzo Madama Anna Maria Bernini, i senatori Lucio Malan e Giuseppe Moles. A Montecitorio l’elenco si allunga: Renato Brunetta, Simone Baldelli, Giorgio Mulè, Deborah Bergamini, Renata Polverini. Nella Lega ha rotto il silenzio Claudio Borghi, per ora in solitaria. Ma anche Matteo Salvini sarebbe poco convinto della strada intrapresa, e Giancarlo Giorgetti tace, «perché se parlasse lui verrebbe fuori un bel casino».
In Fdi Guido Crosetto twittava così: «Ripensateci con calma». Un altro big del partito a nutrire forti perplessità sarebbe Raffaele Fitto, ma non è il solo. «Fratelli d’Italia ha sostenuto con coerenza una posizione che è storica nel centrodestra», dice Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fdi alla Camera. Insomma, ancora tanti distinguo. Un fronte monolitico non esiste. E forse mai esisterà. Avvertenze: vedi cosa è successo a Renzi. IlGiornale.it