Il «contratto» di governo tra Di Maio e Salvini scadrà a fine maggio. Il decreto su reddito di cittadinanza e quota cento non incide sul loro accordo, era solo un «atto dovuto», la condizione necessaria per restare ancora insieme a palazzo Chigi e per parlare separatamente agli elettori in vista delle Europee. Si vedrà quale sarà l’impatto del provvedimento sul Paese, se davvero risponderà alle attese dei cittadini, se la sua attuazione sarà «immediata e facile» come assicurano in pubblico i due leader o «farraginosa e complicata» come temono in privato alcuni rappresentanti dell’esecutivo.
Ma non c’è dubbio che il decreto fosse necessario a Di Maio e Salvini, che mirano a fare il pieno di voti continuando intanto a mostrarsi avversari nelle piazze per togliere consensi agli avversari nelle urne. È una tattica che fin qui si è mostrata redditizia, e che però deve fare i conti con la congiuntura economica, con le nubi di una crisi che potrebbe coglierli in mezzo al guado. Costringendoli magari a una manovra correttiva e a una impopolare operazione salva-banche che scombinerebbe i loro piani. Nulla di nuovo: già a settembre furono messi sull’avviso dai loro sottosegretari Buffagni e Giorgetti. In ogni caso il patto scadrà dopo le Europee, quando gli elettori decideranno i nuovi rapporti politici. È allora che Di Maio e Salvini si troveranno al bivio, e dentro un quadro parlamentare che potrebbe mutare equilibri a seconda degli eventi, dovranno decidere se sciogliere l’intesa oppure rinnovarla: in tal caso sarebbe chiaro che il «contratto» — dettato dal voto di marzo — si trasformerebbe in un’alleanza politica. Ma non è questo l’intento del capo leghista, che vorrebbe allungare la vita del governo quanto più possibile in attesa di una definitiva uscita di scena di Berlusconi, così da egemonizzare il vecchio centrodestra e sulle sue ceneri edificare un rassemblement sovranista. Proprio per contrastare una simile prospettiva il Cavaliere ha annunciato la sua candidatura alle Europee: sa di non poter competere nella sfida con Salvini, ma se riuscisse a ottenere una percentuale a doppia cifra nelle urne potrebbe in prospettiva condizionarlo. Lo costringerebbe infatti a scegliere «con chi stare», ed evocando la «tradizionale alleanza che governa le regioni più produttive del Paese», offrirebbe una sponda a quella parte della Lega al Nord che è sofferente per il governo coi grillini.
Di qui la reazione di Salvini. Che ieri ha parlato a Di Maio e Conte perché Berlusconi lo sentisse. Quando il titolare del Viminale ha ringraziato gli alleati di governo per «i sette mesi entusiasmanti» trascorsi insieme, aggiungendo che «lo saranno altrettanto i prossimi dieci anni», stava replicando al Cavaliere. Che si è messo in gioco anche per bloccare una diaspora nei suoi gruppi in Parlamento: manovra peraltro in atto. C’è un motivo se la scissione in casa forzista non sarebbe un fatto marginale nella mano di risiko che i partiti di maggioranza e opposizione si apprestano a giocare dopo maggio. Tutto parte da una previsione: chiuse le urne M5S sarebbe destinato a spaccarsi. Secondo le analisi che alimentano il dibattito in ogni forza politica, l’ala movimentista dei Cinque Stelle si dividerà dalla componente governista. A quel punto, siccome Salvini prevede che «il Quirinale non ci concederebbe le elezioni», servirebbe un piano B, un gabinetto di decantazione in cui — secondo fonti accreditate — Conte e non Di Maio diverrebbe «punto di riferimento» per i grillini legati all’esperienza di governo. Nella geometria di un Parlamento desideroso di sopravvivere, la pattuglia di transfughi forzisti — assieme a FdI — potrebbe rivelarsi determinante per una nuova maggioranza. Con un risultato sopra il 10%, Berlusconi potrebbe ostacolare il disegno.
Sia chiaro, Salvini è il più acerrimo nemico di una simile soluzione, non vuole ripercorrere la strada che portò Renzi in un vicolo cieco. Sarà per questo che, ogni qualvolta nel partito si accenna agli scenari del dopo-Europee, tace. E anche se avverte la pressione di quanti gli dicono che «il governo non deve durare», parla solo di campagna elettorale: confida in una larga vittoria per mettere definitivamente a tacere il dissenso. Ma al Nord il reddito di cittadinanza non è pietanza commestibile. Non a caso Forza Italia ha preso a battere il tasto degli «immigrati che riceveranno l’assegno». «In Parlamento cercheremo di renderlo più digeribile», ha confidato il capo della Lega ai suoi. Poi, alla foto di gruppo con Di Maio e Conte, mentre gli altri due mostravano il frontespizio del decreto con la scritta (piccola) «reddito e quota 100», lui mostrava il foglio con la scritta «quota 100». E basta.
Corrieredellasera