Uno di loro, stremato, ce l’aveva detto giovedì pomeriggio: siamo pronti a morire per questi ragazzi. Uno di loro, giovedì notte, è morto: Saman Poonan, 37 anni, incursore a riposo dei Navy Seals thailandesi, stava rientrando dalla «camera 3» alla «camera 2» della grotta, quando ha perso conoscenza per mancanza di ossigeno. È riuscito solo a dare i due strattoni al cavo di segnalazione, per dire che qualcosa non andava. I compagni l’hanno recuperato quando ormai non c’era più nulla da fare, inutile tentare una rianimazione. Saman era incaricato di posizionare le bombole d’ossigeno in una delle cavità asciugate in queste ore, la camera 2, e poi doveva tornare alla base di soccorso che si trova 700 metri dopo l’ingresso principale dei dieci chilometri di cunicoli di Tham Luang.
Che cos’è successo? Il gran viavai di soccorritori nella grotta – è l’ipotesi del comandante dei Navy Seals Thai, Arpakorn Yookomgaew – ha probabilmente ridotto la quantità d’aria respirabile là sotto. Ci sono i trenta americani arrivati dalle basi del Pacifico, gli inglesi che lavorano da due settimane alle ricerche, gli australiani dei corpi volontari, più le decine d’incursori della Marina thailandese: «Ora la nostra priorità è ristabilire un livello d’ossigeno sufficiente, soprattutto per evitare altri problemi ai ragazzi intrappolati. C’è un tubo per l’aria lungo cinque chilometri, che arriva fino a loro. Stiamo lavorando per renderlo più efficiente». Cambia qualcosa nell’organizzazione dei soccorsi? «Queste cose purtroppo fanno parte del nostro mestiere. Siamo pronti a fronteggiare qualsiasi rischio, in qualsiasi momento».
Il corpo di Saman viene portato fuori dalla grotta e infilato in un’ambulanza. Che se ne va lenta, a sirene e lampeggianti spenti. E’ il primo morto di questa storia: congedato da poco, lavorava come addetto alla sicurezza all’aeroporto di Bangkok, s’era messo in ferie ed era arrivato fin quassù, al confine con la Birmania, per offrirsi volontario e dare una mano ai suoi ex commilitoni. E’ un brutto segnale per i soccorritori: «All’inizio pensavamo d’avere tempi più lunghi per salvare i ragazzi – è meno ottimista il comandante Arpakorn -, ma ora le cose stanno cambiando in modo rapidissimo. Abbiamo tempi molto limitati, per tirarli fuori da là sotto». Il cielo si rannuvola, inizia a piovere, il rischio d’un nuovo allagamento della grotta è vicino (Guarda il video). E cresce la paura di non farcela. Resta in piedi il piano principale: tentare d’estrarli dall’ingresso principale, due o tre divers che accompagnino ciascuno dei bambini attraverso pertugi allagati che permettono il passaggio solo di corpi molto sottili, e senza bombole. Nessuno ha detto nulla ai dodici sepolti vivi della grotta, naturalmente. E nemmeno ai militari che sono assieme a loro. “Devono conservare tutte le energie possibili che servono a uscire di lì – dice Claus Rasmussen, danese, uno dei tanti sub che da tutto il mondo si sono uniti alla squadra di recupero -. E in questo momento, non c’è nulla di peggio che deprimersi”.