Silvio Berlusconi è a palazzo Grazioli, con lo stato maggiore di Forza Italia. Vede crescere il fronte per le elezioni subito, il governo Cottarelli vacillare prima di nascere e il leader della Lega che si lamenta con Fi degli attacchi e sembra voler imporre la sua egemonia. Sembra che il centrodestra non abbia futuro, almeno nella vecchia formula. Agli azzurri, però, il leader raccomanda di «non offrire pretesti e non raccogliere le provocazioni, nessuno deve attribuire a noi lo strappo».
Con Gianni Letta, Niccolò Ghedini, i capigruppo Anna Maria Bernini e Maria Stella Gelmini, Renato Brunetta, la vicepresidente della Camera Mara Carfagna e il portavoce Giorgio Mulè, il Cavaliere esamina i tre scenari possibili. Il primo è andare al voto con il centrodestra, per governare, se Salvini non sceglie il M5S. Il secondo è correre da soli, se la Lega abbandona, con la prospettiva di accontentarsi forse di un 10% e di un dimezzamento dei parlamentari, sempre se non si riesce in questi pochi mesi a capitalizzare l’«effetto Silvio» e a far passare i messaggi giusti, nel momento in cui gli italiani capiranno dalle loro tasche, su mutui e prestiti, quanto costa l’incertezza. Il terzo è il cosiddetto Fronte repubblicano, un accordo con il Pd che viene subito scartato, perché le accuse di «inciucio» sarebbero troppo dannose.
Così, il leader di Fi non cambia linea, convinto che al capo del Carroccio convenga tenere in piedi la coalizione. I suoi ripetono come un mantra che il primo errore è stato non dare l’incarico a Salvini, per tutto il centrodestra. Al direttivo a Montecitorio la presidente dei deputati Gelmini dà la linea: «Per Fi e per Berlusconi la stella polare resta il centrodestra unito. Alle prossime elezioni vogliamo presentarci con la stessa coalizione che il 4 marzo è risultata la più votata». E ribadisce: «La parola torni al più presto ai cittadini. Noi, con Berlusconi in campo e candidato, siamo pronti».
A Palazzo Grazioli il Cavaliere si mostra irritato anche per l’ultimatum di Salvini sulle regole da cambiare in Europa. «Nessuno mi può dare lezioni – dice-, sono stato io il primo da premier a impormi a Bruxelles, con tutte le conseguenze». Lo ricorda nell’infuocata seduta al Senato la capogruppo Bernini: «Fi è stata la prima a pagare sulla propria pelle i veti di una certa Europa. È stato Berlusconi il primo leader in Europa a denunciare l’errore dell’intervento in Libia e a dire che le sanzioni alla Russia erano inaudite». IlGiornale.it