Caro direttore,
approfitto dell’ospitalità che vorrai concedermi per dare corpo ad alcune considerazioni che mi frullano in testa. E che riguardano un fatto che mi pare oggettivo: se le tv fossero spente e i computer bloccati, niente verrebbe a dirci che è in corso una campagna elettorale. E non una sfida come le altre, ma quella giocata tra la paura di un’apocalisse grillina e l’ennesimo ritorno del Cavaliere ultraottantenne. Il superuomo renziano, l’Übermensch democratico – squisito paradosso – pare essersi estinto il 4 dicembre 2016 e non insidia, a meno di larghe intese, la sfida per la vittoria. L’attesa di questo armageddon, però, ribolle solo nel fiume dei media e dei social media. A tv spente e computer staccati, nessun segnale attraversa le nostre città.
Guardiamoci intorno. Pochi o punti manifesti colorano ancora le mura cittadine o gli stalli preposti. Non che si senta la mancanza di simili forme d’arte, di cui le Elezioni Regionali siciliane ci hanno appena dato abbondante campione. I santini viaggiano su internet, affollano le chat di Wathsapp e Telegram, vengono condivisi su Facebook ed Instagram. Ne guadagnano gli alberi e la pulizia delle strade, senza dubbio. Ne perde il senso autentico della partecipazione democratica, fatto anche di bambini mandati in giro a distribuire santini, di manifesti affissi nottetempo dai ragazzi, di comitati elettorali stracolmi e collezionisti di buffet che voteranno per chi offrirà l’aperitivo migliore.
Per non dire dei comizi. Chi parla più nelle piazze di paese cercando di raccogliere quel centinaio di voti che moltiplicato per centinaia di comuni fa vincere le elezioni? Quale candidato va alla ricerca del consenso nel modo romantico e pratico di una volta, unendo alla vocazione politica il senso degli affari spiccioli, alla discussione sui massimi sistemi quella sui minimi salari, alla ricerca del voto – nell’urna – quella del devoto – per la vita? Un’idea retriva della politica, forse, in tempi di piattaforme online, di primarie sul web e di annunci in un tweet. Sarà, ma è la politica che fece dell’Italia una potenza mondiale.
Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi venti giorni di campagna elettorale. Forse i candidati caleranno in massa dalla montagna per venire a raccontare la loro storia piazza dopo piazza, bar dopo bar, circolo dopo circolo. Ma l’impressione giustificata è che ormai la campagna elettorale scorra soltanto in televisione e sul web, privando gli elettori di qualunque momento di confronto con chi dovranno mandare al governo del Paese. Una tendenza malsana che si attutisce giocoforza per altri appuntamenti elettorali – le Regionali, lo dicevamo, sono state sufficientemente pittoresche – ma che dà il segno della lontananza della politica dai cittadini, come anche del contrario, inquadrando la crisi della democrazia partecipativa in un’ottica nuova e preoccupante.
Lo strumento di partecipazione per eccellenza, internet, si è trasformato nell’aguzzino della partecipazione stessa. Nel momento in cui abbiamo pensato di poter manifestare il dissenso scrivendo un post su Facebook o di sostenere un’idea condividendo una foto, abbiamo iniziato un po’ a morire come elettori e come cittadini. E la politica, che segue la società invece di indirizzarla, si è adeguata proponendo modelli organizzativi e propagandistici tutti incentrati sul digitale. Sparendo gradualmente dalle città, dalle piazze, dai circoli. Per non tornarci più nemmeno in tempo di elezioni, quasi che il voto fosse una vuota formalità. Cosa che di fatto è diventato, quando la metà dei cittadini minaccia di non recarsi alle urne, senza che le Istituzioni facciano nulla per reagire. La scomparsa dei politici e quella degli elettori sono collegate. Ma nessuno sembra preoccuparsi davvero. Auguri.
Valerio Musumeci
LA RISPOSTA DEL DIRETTORE
Caro Valerio,
leggerti mi ha fatto ricordare di una campagna per le trivelle in cui riuscimmo (dico riuscimmo perchè insieme lavoravamo alacremente a questo stesso foglio) a coinvolgere niente meno che quei due mattacchioni di Ficarra e Picone. Grazie all’audacia tua e non solo tua, ottenemmo un risultato straordinario, e i lettori apprezzarono. Hai fatto bene a scrivere di questa piccola grande rivoluzione, perchè vi è sul serio. Ma nulla è nuovo: si è solo trasportata sui social essendo già in corso nel mondo reale. Il paragone con il recente voto per l’elezione del nuovo governatore della nostra isola è emblematico e chiarisce esso stesso l’arcano. Alle Politiche, vale a dire per l’elezione del Parlamento, nessun italiano avrà la possibilità di votarsi direttamente il parlamentare preferito. Non è mai accaduto, per la verità, essendo stato il sistema proporzionale il perno indissolubile e imprescindibile della Seconda Repubblica ed anche di quelli che molti non hanno paura a definire la Terza Repubblica, vale a dire i giorni nostri. Non essendo costretti, i candidati, a rincorrere i cittadini propagandando le liste di appartenenza ma soprattutto se stessi (risultando bloccati nelle quote maggioritarie e proporzionali, come previsto dal nuovo Mattarellum), il compito della propaganda resta ai partiti e ad un sistema che tende a massimizzare la resa con il minimo impiego di mezzi, possibilmente mezzi non propri come emittenti televisive o i quotidiani, dove le interviste ai leader piccoli o grandi si sprecano, per arrivare ai social.
Manca l’odore dei manifesti sui muri, quell’odore di colla spalmata con la spazzola qualche ora prima. Mancano i facsimile sui parabrezza delle auto o accanto al piattino della cassa di un bar. Sono gli effetti di questo “moderno” proporzionale, che proporzionalizza anche l’impegno delle donne e degli uomini in lista. E che lascia che gli elettori si scannino tra loro sui propri profili dei social network, spellandosi le dita e dicendosene di ogni. Che brutta questa campagna elettorale, fatta di migranti e di cortei, di banche e di banchieri, di sottosegretari catapultati fuori dai collegi di residenza e di leader azzoppati da leggi retroattive, di scontrini non pagati e di danari restituiti (anzi no). Siamo il Paese del “tutto è possibile”, e come hai avuto modo di dire tu sembra che agli italiani, a molti italiani, tutto questo interessi meno di niente.
Andrea Di Bella