Le elezioni politiche del 2013 e le Europee, la Brexit, Donald Trump. Avvenimenti uniti da una sottile linea rossa, quella dell’errore dei sondaggi e sondaggisti. Ma che cosa ha reso queste rilevazioni meno affidabili rispetto a un tempo? Una risposta, lunga e articolata, prova a offrirla il quotidiano La Stampa, che in un’inchiesta ha messo a confronto istituti demoscopici e sociologi, sia italiani sia statunitensi, per comprendere cosa stia accadendo all’industria dei sondaggi, finita pesantemente sotto attacco in particolare dopo l’8 novembre, quando per tutti o quasi avrebbe vinto Hillary Clinton. No, non è andata così. Perché, dunque, oggi più difficile studiare l’opinione pubblica?
La risposta, curiosamente, riguarda la tecnologia. Il dato emerge in primis da una ricerca del Pew Center, che mette in luce come il tasso di risposta alle chiamate dei sondaggisti è precipitato dal 26% del 1997 al 9% del 2012. E ancora, nel 2013, tre americani su quattro bollavano i sondaggi come “faziosi”. Ma, si diceva, la tecnologia: l’elemento cruciale è l’ascesa dei cellulare, che in molti casi, anche nelle nostre vite, hanno rimpiazzato i telefoni fissi, o quasi. Le linee fisse, infatti, in passato erano il fulcro delle interviste: oggi negli Usa il 41% delle utenze domestiche sono mobili, mentre un altro 17% usa il fisso soltanto per l emergenza.
Questo dato complica il lavoro dei sondaggisti e ne aumenta i costi: le leggi statunitensi non permettono di usare sistemi automatici per contattare gli elettori. Dunque, qualche esempio pratico: per imbastire un sondaggio su mille persone si devono digitare in media 20mila numeri. Luca Diotallevi, professore di sociologia all’università di Roma Tre, sottolinea: “I sondaggi si fanno usando i telefoni fissi e molte persone non li hanno più”. E ancora: “Qualcuno chiama anche i cellulari, a caso, ma per questi non ci sono gli elenchi telefonici e dunque è impossibile costruire un campione”. Nel caso specifico e relativo a Trump, Diotallevi spiega che “molti elettori di Trump sono disoccupati: tra le spese ritenute non essenziali hanno tagliato il telefono fisso”. Ovvia, dunque, la difficoltà nel creare un campione rappresentativo dell’opinione pubblica.
Oltre all’aspetto tecnologico, ve n’è poi uno ideologico: con il declino delle ideologie, appunto, le intenzioni di voto sono diventate molto più volatili. Insomma, anche ricostruire lo “storico” di un votante non garantisce più, come invece garantiva un tempo, una buona capacità di approssimazione sulla sua futura scelta. In tutto ciò vanno anche considerati i costi: un sondaggio con un campione di 20mila persone costa 40mila euro e l’errore statistico è del 2 per cento. Se gli intervistati scendono a 1.500, il costo è di 3mila euro ma l’errore sale al 3,4 per cento.
Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè, punta i fari poi sull’astensione: “Siamo di fronte, anche da noi, ad una quota di astenuti che continua a crescere, ma che se sollecitata in determinati momenti rilascia inattese energie”. Insomma, imprevedibilità ai massimi livelli: Weber infatti insiste sulla difficoltà nell’individuare quello che chiama “voto nascosto e segreto”. LiberoQuotidiano