M5S, dove conta obbedire alla volontà di Grillo

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di Luciano Capone

L’ultimo dei dieci piccoli indiani fatto fuori dall’amministrazione di Roma è l’assessore (per 24 ore) Angelo Raffaele De Dominicis. “In queste ore ho appreso che l’ex magistrato in base ai requisiti previsti dal M5s non può più assumere l’incarico di assessore al Bilancio della giunta capitolina”, è la sentenza sibillina emessa dal sindaco Virginia Raggi. Quali sono questi requisiti e in cosa sarebbe carente il neo-ex-assessore? La Raggi non lo dice, ma pare che De Dominicis sia indagato, anche se il diretto interessato smentisce. E la non iscrizione nel registro degli indagati è una delle condizioni richieste dal “Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni di Roma”, un contratto con penali salate (minimo 150 mila euro), che richiede “di non essere a conoscenza di essere sottoposto a indagini o procedimenti penali”. Pertanto De Dominicis è fuori. Ma allora perché la Muraro, che è anch’essa indagata, resta al suo posto? E’ vero che, a differenza di De Dominicis, l’assessore all’Ambiente ha saputo di essere indagata dopo la firma del contratto, ma è prevista una norma anche in questo caso. All’art.9, lett. a), comma 2 il codice dice: “Il sindaco, ciascun assessore e ciascun consigliere assume l’impegno di dimettersi laddove in seguito a fatti penalmente rilevanti venga iscritto nel registro degli indagati e la maggioranza degli iscritti mediante consultazione in rete decide per tale soluzione”. Perché quindi non c’è la votazione sulla Muraro? Chi e come fa rispettare le norme nel M5s?

Per rispondere a queste e altre domande bisogna raccogliere e ricostruire il Corpus iuris grillinum, l’universo del diritto grillino, una produzione normativa e giurisprudenziale che si è stratificata negli anni in maniera confusa e a volte contraddittoria. Bisogna quindi individuare quali sono le fonti del diritto grillino e qual è la gerarchia tra queste fonti normative, ovvero quali sono le connessioni tra le norme e quali sono quelle prevalenti.

Il Non Statuto

Al vertice della piramide c’è quella che può essere considerata la carta costituzionale del movimento, il “Non Statuto” della “non associazione”, un documento di 5 pagine e 7 articoli, in cui vengono descritti natura e sede, oggetto e finalità del movimento, metodi di finanziamento e procedura per la selezione dei candidati. Il Non Statuto (detto anche “regolamento”) dice che il movimento coincide con il sito www.movimento5stelle.it (art.1), che “non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro” e che è organizzato “senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo e indirizzo” (art. 4). Uno vale uno, insomma. A Beppe Grillo è riservato il ruolo di promotore “nell’ambito del blog www.beppegrillo.it” (art. 4), mentre i candidati devono essere cittadini “incensurati e che non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato”, quindi vuol dire che non possono accedere alle cariche elettive non solo i condannati, ma neppure gli indagati “qualunque sia la natura del reato ad essi contestato”, una condizione in cui attualmente ricadono numerosi eletti ed amministratori del M5s. Il Non Statuto è una costituzione di tipo octroyée, elargita dal Fondatore Beppe Grillo con un post sul blog nel 2009, quindi in questo senso più simile allo Statuto albertino che all’attuale Costituzione scritta e approvata dall’Assemblea costituente. La Grundnorm grillina però non è la stessa del 2009. Pur non prevedendo un processo di revisione, c’è stata già una riforma costituzionale decisa sempre dal fondatore, che ha portato al passaggio di Grillo da “titolare” a promotore.

Il Sì Statuto

Oltre alla legge fondamentale, non si sa se sotto o a fianco, se in funzione subordinata, autonoma o coordinata, c’è lo Statuto dell’associazione (che per distinguerlo dall’altro chiameremo Sì Statuto della Sì Associazione), un documento firmato davanti a un notaio nel marzo 2013, è lo “Statuto del Movimento 5 Stelle”, in cui Beppe Grillo viene indicato come titolare e gestore (“Spettano al signor Giuseppe Grillo titolarità, gestione e tutela del contrassegno; titolarità e gestione della pagina del blog” art. 3), nonché Presidente e membro del Consiglio direttivo (art. 13) insieme ai due soci fondatori, il nipote Enrico Grillo e il suo commercialista Enrico Maria Nadasi. Il Sì Statuto ribadisce l’importanza della democrazia diretta e, a differenza del Non Statuto, dice qualcosa anche sugli eletti che “eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato” (art. 3), un principio fondamentale che invece è il bersaglio politico principale del M5s.

Il Regolamento

Un altro documento importante di rango primario, ma subordinato alle fonti costituzionali (che sono il Sì e il Non Statuto), è il Regolamento. Come abbiamo accennato anche il Non Statuto viene chiamato “regolamento”, ma il Regolamento in questione è un altro regolamento (per comodità verrà identificato e distinto dall’altro attraverso l’uso della maiuscola). Il Regolamento si occupa degli aspetti più tecnici, organizzativi e procedurali (requisiti, metodi di votazione ed espulsioni) e richiama le norme e i princìpi del Non Statuto. Possono rappresentare il M5s ed utilizzare il simbolo solo gli iscritti espressamente “autorizzati dal capo politico del Movimento 5 stelle” (art. 1). La figura del “capo politico” compare per la prima volta qui – è diversa dal titolare, dal gestore e dal presidente – ma è sempre Beppe Grillo ad essere indicato con questa qualifica in un altro documento, il programma per le elezioni politiche del 2013. Il Regolamento fa però riferimento anche al Sì Statuto, quando istituisce un nuovo organo, il “comitato d’appello”, che ha il compito di esaminare i ricorsi degli iscritti espulsi dal capo politico. Infatti il Regolamento dice che “il comitato d’appello è composto di tre membri, due nominati dall’assemblea mediante una votazione in rete tra una rosa di cinque nominativi proposti dal consiglio direttivo dell’associazione Movimento 5 stelle ed uno dal consiglio direttivo dell’associazione medesima” (art. 5). Il consiglio direttivo, come abbiamo visto, viene istituito dal Sì Statuto, ed è composto da Grillo, suo nipote e il commercialista, che quindi nominano il comitato d’appello e scelgono chi verifica e certifica la regolarità del voto (art. 3, lett. c, comma 5 del Regolamento).

I Codici di comportamento

Tra le fonti di secondo livello ci sono i “Codici di comportamento per i candidati ed eletti” fatti sottoscrivere prima delle elezioni e che si avvicinano ai contratti di diritto privato. I codici più importanti sono tre, tutti diversi tra loro. Il primo è il codice per gli “eletti in Parlamento”, in cui viene abbassato lo standard per mantenere l’incarico rispetto a quello iniziale: “Il parlamentare eletto dovrà dimettersi obbligatoriamente se condannato, anche solo in primo grado, nel caso di rinvio a giudizio sarà invece sua facoltà decidere se lasciare l’incarico”. Molto più grave del rinvio a giudizio è la presenza in tv: “Evitare la partecipazione ai talk show televisivi”, un divieto ancora vigente, ma non applicato, se non per i casi in cui è stato stabilito il contrario. Il successivo è il codice per i “candidati al Parlamento europeo” del 2014, che introduce per la prima volta una penale da 250 mila euro per i trasgressori, violando però il principio dell’assenza di vincolo di mandato sancito dal Sì Statuto. Anche il codice per “i candidati ed eletti di Roma” del 2016 prevede la penale, ma è importante perché si tratta del primo e unico documento ufficiale in cui compare Gianroberto Casaleggio, nella veste di “garante”, insieme a Beppe Grillo. Quella del “garante” è una figura che non compare in altre norme scritte del Corpus iuris grillinum.

La Common law

Nella produzione normativa grillina un ruolo di rilevo viene dai precedenti giurisprudenziali, che però, diversamente dall’ordinamento anglosassone, non derivano tanto dalle consuetudini né emergono dal basso, ma sono le sentenze calate dall’alto da Beppe Grillo e che fanno giurisprudenza. Dal caso Salsi al caso Favia passando per Tavolazzi fino ai giorni nostri con i casi Pizzarotti e Quarto, sono tante le sentenze emesse sulla base di criteri non scritti e imprevisti che poi sono diventate legge. Nessuna norma vietava di andare in tv quando la Salsi è stata espulsa, come non erano previste sanzioni per omessa denuncia (Quarto) o per ritardata comunicazione (Pizzarotti). Allo stesso modo potrebbe essere inquadrata l’istituzione, sempre per volontà di Grillo, di organismi direttivi e corpi intermedi non previsti da alcun documento ed espressamente vietati dall’art. 4 del Non Statuto. E’ il caso del direttorio, del minidirettorio, dello “staff di Beppe Grillo” e dei vari gruppi di comunicazione.

Gli Atti dei Casaleggi

Pur non comparendo in alcun documento ufficiale, hanno notevole rilevanza sul piano dell’indirizzo culturale – ma anche organizzativo e politico – le volontà, gli scritti e le opere di Gianroberto Casaleggio e, ora, di suo figlio Davide. Parliamo dell’aspetto informatico, visto che di fatto la Casaleggio Associati è il cervello e centro operativo del movimento. E’ nata per volontà di Gianroberto e per impegno del figlio Davide l’associazione Rousseau (a breve si trasformerà nella fondazione Gianroberto Casaleggio), guidata da Casaleggio junior e i due discepoli Max Bugani e David Borrelli, che controllano il sistema operativo del M5s. Tra gli Atti dei Casaleggi rientrano per il loro valore emotivo e culturale i video, i libri e gli aforismi di Gianroberto. Oltre ovviamente a un documento storicamente significativo come la “Prima lettera di Casaleggio al Corriere”, in cui il guru ha svelato la genesi del movimento e delle sue leggi: “Sono in sostanza cofondatore di questo movimento insieme a lui. Con Beppe Grillo ho scritto il Non Statuto, pietra angolare del MoVimento 5 Stelle prima che questo nascesse”.

Il Diritto islamico

Non ci vuole molto per notare che ciò che manca a questo al corpus giuridico, nato per accumulo e sedimentazione, strappi e sovrapposizioni, è la certezza del diritto. Ci sono norme fondamentali, fonti di primo e secondo livello, precedenti e norme consuetudinarie, ma sono tutte contraddittorie, non si sa quale prevalga sull’altra. Perché non viene più espulso chi va in tv? Perché viene fatto dimettere De Dominicis e non la Muraro? Perché si sospende Pizzarotti e non Nogarin? Come fanno ad esistere organi direttivi vietati dal Non Statuto? E’ evidente che in tutti questi casi, come in tanti altri, a prevalere siano la volontà, la discrezionalità e l’arbitrio di Beppe Grillo. In questo senso più che al kelsenismo o al giusnaturalismo, alla common law o alla civil law, il sistema giuridico grillino si ispira al diritto islamico. Nel mondo sunnita sono fonte del diritto gli hadith del Profeta, ovvero le parole, i silenzi, i fatti e le inazioni attribuite a Maometto. Gli hadith hanno un ruolo secondario rispetto al Corano, che è stato dettato parola per parola da Allah (un po’ come il Non Statuto da Casaleggio), anche perché sono racconti tramandati, con diversi grado di affidabilità. Nel mondo grillino invece il profeta Beppe è vivo e ogni sua parola, silenzio, azione o inazione è verificabile direttamente sul blog. Inoltre come il dio immanente islamico, capace di sovvertire in ogni momento le leggi naturali del mondo, Grillo può per sua volontà capovolgere in ogni istante le leggi del movimento. “Allah ha fatto il fuoco caldo, ma può farlo freddo”, recita un’antica massima dei teologi islamici, che ricorda si parva licet la legge del marchese del Grillo, una frase che descrive l’insieme delle regole del M5s meglio dello slogan “uno vale uno”. IlFoglio