di Redazione
«L’etichetta di “mafioso” sta cominciando a diventare davvero troppo stretta a tutti, soprattutto ai siciliani onesti». Non ha dubbi Cirino Cristaldi, il giovane giornalista catanese autore de “La Mafia e i suoi stereotipi televisivi”, un lavoro d’inchiesta – edito da Bonfirraro, con il saggio introduttivo del docente dell’Università di Catania Maurizio Zignale – che parte proprio dall’analisi delle produzioni cinematografiche e televisive per porre domande determinanti: come viene percepita la Sicilia in Italia e all’estero? Perché paghiamo i retaggi degli stereotipi ricorrenti in relazione alla parola “mafia”?
La presentazione si terrà sabato 9 luglio alla Mondadori Bookstore del Centro commerciale di Tremestieri Etneo, alle ore 17.30. Qui i relatori Lucio Di Mauro, giornalista, e Paolo Garofalo, esperto di comunicazione – insieme all’editore Salvo Bonfirraro e all’autore – proveranno a rispondere agli interrogativi che emergono dal testo, analizzando il parallelismo Mafia = Sicilia che si esplicita nella vita di tutti i giorni, come sul piccolo e sul grande schermo: è così che emerge l’immagine di un’Isola “mafiosa” e vendicativa, difficilmente sradicabile dall’immaginario collettivo.
Cristaldi, nel suo saggio “La Mafia e i suoi stereotipi televisivi” va ad approfondire in maniera molto analitica, come le produzioni televisive abbiano trattato il tema “mafia”. Cosa ci può dire brevemente in merito?
Partiamo da un presupposto fondamentale: la mafia in tv fa audience. Analizzando approfonditamente questo dato focale si può spiegare come molto spesso le produzioni televisive abbiano fatto il pieno di ascolti puntando su format seriali quali ad esempio La Piovra o Il Capo dei Capi, sfruttando una delle più classiche associazioni: Sicilia e Mafia. Il mio saggio parte appunto da questa visione stereotipata della Trinacria, raccontando la sua evoluzione attraverso immagini e storie spesso ispirate a tragici eventi di cronaca.
Perché ha scelto di prendere spunto da questo argomento?
Tutto è nato dalla volontà di far conoscere al mondo un’altra faccia della Sicilia, ormai stufa di essere etichettata come “terra del male” e messa da parte, in un angolo. A chi non è mai capitato di varcare i confini nazionali e sentirsi appellare come “mafioso” per il semplice fatto di essere siciliano? A fomentare questo processo, parecchio hanno influito le produzioni cinematografiche e televisive di tutto il mondo.
Cosa rimprovera alla maggior parte delle produzioni televisive?
In realtà, credo di essere l’ultima persona al mondo capace di giudicare l’operato dei produttori italiani e non, ma una cosa è certa: nel corso della decennale storia dei film e delle serie tv del filone “mafioso” fin troppi stereotipi negativi sono stati veicolati senza pensare alle conseguenze del protrarsi di un tale fenomeno. Un conto è produrre documentari storici, un altro è continuare a fare incassi sfruttando la parola “mafia” e tutto quello che ne consegue.
Quale, secondo lei, è stata la fiction che maggiormente si è avvicinata alla realtà territoriale dell’isola più grande del Mediterraneo, come lei spesso ama definire la Sicilia?
Potrei rispondere più semplicemente che la fiction che meno si avvicina alla realtà territoriale della nostra amata Sicilia è L’Onore e il Rispetto, così come Baciamo le Mani – Palermo New York 1958, seppur ambientata in parte negli Stati Uniti, o Squadra Anti-Mafia Oggi. L’isola più grande del Mediterraneo non è quella dipinta, a cadenza settimanale, sui piccoli schermi di mezza Italia da qualche anno a questa parte. La Sicilia non è “coppole e lupare”, fortunatamente è ben altro.
Secondo lei, può la tv aiutare a estirpare il “sistema”? E se sì, come?
La tv è un importante mezzo di comunicazione poiché riesce a raggiungere ampie fasce di pubblico, dalle più colte alle meno colte, senza distinzione di età o genere. Per questo motivo, se sfruttata al meglio, può fare la sua piccola parte per migliorare la società.