Diego Fusaro a Catania per parlare di Islam e di tutti i temi connessi a questa difficile realtà. Quanto è complesso affrontare questo discorso e quant’è importante riuscire a dare una risposta – sopratutto dal tuo punto di vista, quindi filosofico e di sistema?
La difficoltà direi che è duplice. Primo, la difficoltà è in re, cioè nella cosa stessa: perché parlare di Islam significa parlare di una questione immensa, che riguarda tutta una serie di problemi come la cultura, la religione, la civiltà, il rapporto interculturale tra due mondi storicamente diversi sebbene non distanti come quello cristiano e quello islamico. E’ un problema che richiede competenze e tempi enormi. Questa è la prima difficoltà oggettiva. Io nel mio piccolo posso occuparmi un po’ di filosofia islamica, ma neanche da professionista. Ci sono specialisti di questo tema, come Massimo Campanini, per citarne uno italiano. Il secondo problema di un tema del genere non è intrinseco ma è legato al contesto in cui viviamo, per il fatto che oggi sull’Islam c’è una sorta di ipoteca ideologica che è quella che lega a doppio filo – del tutto indebitamente, a mio modo di vedere – l’Islam al terrorismo. Quindi la difficoltà è duplice e rende molto complesso l’approccio al discorso.
Anche a livello europeo la discussione sul tema sembra fungere da specchietto per le allodole per mantenere uno status quo, da una parte noi, dall’altra loro. Vedi anche il discorso sull’immigrazione.
Qui si apre un altro problema. Si potrebbe parlare per un anno intero di Islam senza mai farvi riferimento: quella del rapporto tra Islam e immigrazione è un’altra questione. Oggi direi che non sono gli islamici in quanto tali a migrare. Molta parte dei migranti è anche islamica, ma non c’è una connessione diretta, non è che uno migra per venire qui a fare il terrorista.
Non arrivano con i barconi, i terroristi.
Anche il fatto che molti terroristi si dichiarino islamici non è una prova a sostegno del fatto che l’Islam in quanto tale sia terrorista. Si può dire semmai che c’è un terrorismo che fa uso dell’islamismo come propria giustificazione teorica. Ma è tutt’altro discorso, ancora non è provata la necessaria portata terroristica dell’Islam né tanto meno dell’immigrazione, che a mio modo di vedere molto difficilmente si può collegare. Nel caso dell’Europa anche qui si tocca un problema enorme: le politiche dell’accoglienza sono delle caricature, se si volesse regolare l’immigrazione la si regolerebbe. C’è una volontà di non regolarla che è funzionale come sempre ad una questione economica, perché fa comodo a qualcuno avere masse di disperati che arrivano senza regolamentazione.
E i discorsi sull’accoglienza come elemento di civiltà del nobile Occidente?
Non è affatto vero che queste masse vengano accolte, vengono soltanto sfruttate. Figurano come il nuovo esercito industriale di riserva e quindi non giovano sicuramente ai lavoratori autoctoni – che si trovano a subire una concorrenza al ribasso – e non giovano al mondo del lavoro in generale, che vede una presenza massiccia di nuova forza lavoro che abbassa il costo del lavoro a livello sistemico. Giova sicuramente a quelli che stanno dall’altra parte – si sarebbe detto una volta dalla parte del Capitale – che li utilizza nella lotta di classe per portare avanti il proprio dominio.
La strategia di Renzi per la lotta al terrorismo, la sua dichiarazione – espressa anche in maniera molto pubblicitaria – di spendere un euro in cultura per ogni euro in sicurezza non sembra da buttar via.
Mi si consenta una battuta: io ho il sospetto che li stia investendo tutti nella lotta al terrorismo, perché nella cultura non vedo euro investiti. Vedo semmai un’opera di definanziarizzazione costante del mondo della cultura, tramite licenziamenti, tramite mancato rinnovo del personale, tramite i tagli lineari ai fondi destinati agli enti culturali come le università e le scuole. Quindi non c’è investimento sulla cultura, mi pare. Nella lotta al terrorismo, d’altro canto, come si fa ad investire? Bisognerebbe porre questa domanda. Più controlli, più sicurezza? Anche qui a mio giudizio si tocca un nodo problematico, perché più sicurezza e più controlli significa anche meno libertà: se si aumentano gli uni si restringe l’altra e viceversa.
Come negli USA con il Patriot Act*.
Esatto, si va in quella direzione lì. Quindi bisogna fare molta attenzione. A quanta libertà siamo disposti a rinunciare in nome della presunta sicurezza?
* La legge – introdotta negli Stati Uniti a seguito degli attacchi dell’11 settembre 2001 – che consente all’intelligence e alle forze di polizia di operare in piena libertà contro il terrorismo, anche a scapito della privacy dei cittadini americani.